
AGLIANA. La storia è maestra di vita, la storia è la base del marxismo e della sinistra. La storia è tutto: in realtà la storia, che, come dice il poeta, non vuole storie, non ha mai salvato niente e nessuno e gli uomini, più duri delle pigne verdi – all’epoca in cui frequentavo la scuola media di Poggio a Caiano insieme al proposto don Paolo Tofani, il nostro professore di lettere, Ugo Noferini, ci diceva che il diamante, a confronto con il nostro cervello, era una ricottina –; gli uomini, più duri delle pigne verdi non imparano un bel nulla: duemila anni di storia gettati alle ortiche, da Cristo in poi.
Viene da chiedersi: ma se Dio ci ha fatto a sua immagine e somiglianza (e su questo credo sia d’accordo anche don Tofani) come fanno a poter esistere Salvini e Casapound? E che razza di Padre è un padre che dà vita a dei veri e propri mostri irrazionali e aggressivi, stupidi e ciechi? Mistero della fede…?
La storia è il nostro passato che spiega il nostro presente e ci spalanca la profezia del nostro futuro, dicono gli uomini dell’intelligenza di sinistra. Ci piacerebbe assai, ma non basta dirlo: occorrerebbe anche farlo vero – e per farlo non basta parlare con la figlia del Che o sedersi a tavola con lei. Quello è spettacolo perché – come dice Levi in La tregua – «Guerra è sempre», ogni giorno, anche dopo il Che. Non bastano i guerrieri: anche loro finiscono in croce.
E allora, nell’imbarazzante trambusto in cui si trova oggi la “Città dell’aglio” con tutte le sue contraddizioni indistinte e irrisolte, quella città che ho più volte chiamato Cesnokgrad in russo (ЧЕСНОКГРАД, Aglio-Città), voglio riproporre agli aglianesi e alle loro autorità di sinistra (chiesa compresa), la lettura integrale di uno studio di un prete (poi uscito dal presbiterato e datosi a studi religioso-socio-politici del tutto rimarchevoli), che illumina la vita della Piana ma in una luce davvero poco destra e molto sinistra.
Con il rischio di spaccare le palle a molta gente – forse anche tanta di quella che si riversa in piazza il 25 aprile per osannare la Resistenza e la Liberazione –, se gli aglianesi hanno “buzzo buono” (le cose lunghe, si sa, vengono a noia, ma sono utili…), ecco un lungo stralcio tratto da Provincialia. Scavi sull’identità degli italiani, Firenze, Polistampa, 1999: un libro che sembra essere miracolosamente sparito dalla circolazione e di cui in provincia di Pistoia esistono (credo) solo una decina di copie appena.

Propongo anche un scheda esplicativa, quella, reperibile sul web, del sistema Bibliotecario della Provincia di Pistoia, che ci avverte che il libro del Nesti «Contiene parti su Agliana: P. 57-80, rievoca impatto vicenda “Terra Betinga”, polemiche con Anpi Agliana. Comunicato di Lido Magni del settembre 1944 su uccisioni fascisti-tedeschi. Rievocata in particolare la giornata del 5 settembre 1944 con omicidi di Giovanni Nesti e Nello Semplicini che vedono il coinvolgimento di Borgioli Marino, Magni Rolando e Santini Ottorino. Ricostruzione delle vicende e conseguenze processuali. Rievocata la vicenda del partigiano “Marinaio” (Marinaro Antonio) caduto in circostanze poco chiare. P. 84-94, vicende primi sindaci (Pastacaldi, Coppini, Giuntoli). Situazione interna del Partito Comunista, documento del 1955. P. 105-124 (Tit.: Agonia e senso della messa delle undici-Religione e costume a Serravecchia e dintorni), Serravecchia sarebbe in realtà Agliana. Rievocazione usi-abitudini-vita affettiva-costumi sessuali-moralità della popolazione. Figure dei preti succedutisi. Indagine in un campione compreso fra i 15 e i 35 anni».
Per i più curiosi, le collocazioni del libro in biblioteca sono le seguenti: Agliana PR 945.5 NES AG-15326 su scaffale Prestabile; e: Agliana AGL 945 NES AG-20201 su scaffale Solo consultazione. Per una biografia del Prof. Nesti, consiglio di cliccare su questo link.
Edoardo Bianchini
[Diritto di critica]
MAGMA SOCIALE E VIOLENZA PERSONALE:
IL MARTEDÌ NERO DEL 5 SETTEMBRE 1944

Stando, dunque, alla versione ufficiale dei partigiani all’indomani della domenica 3 settembre 1944, dopo le uccisioni di due soldati tedeschi, “una pattuglia della prima squadra provvedeva alla esecuzione di un fascista fazioso elencato fra i nemici da sopprimere” e al pomeriggio “elementi misti della seconda squadra provvedevano alla soppressione di un altro elemento compreso nella lista”.
Perché tali uccisioni? Chi sono i responsabili? C’è o no un disegno, una trama ed eventualmente a chi si deve la responsabilità politica e morale? Chi è, se c’è, il “grande vecchio” che tira i fili? In quale contesto avvennero tali delitti?
Al di là di ogni considerazione di parte la vicenda trova una puntuale spiegazione nella sentenza della Corte di Cassazione, sezione prima penale, in data 29 dicembre 1953 (Sentenza n. 2432 R.G. n. 12791/53). La Corte condannava Borgioli Marino, Rolando Magni, Ottorino Santini a pene varie per distinti tipi di responsabilità negli omicidi di Nesti Giovanni e di Semplicini Nello. La sentenza arriva a distanza di circa otto anni dai giorni della “mattanza”. Vediamo di ricostruire i drammatici fatti nel loro contesto, sulla base degli elementi che sottendono le sentenze.
Cerchiamo, adesso, di ripercorrere i fatti di quel 5 settembre che furono molto diversi da come vennero raccontati dai partigiani di allora.
3.1 Al Cancello dei Marini
“Verso le 9,30 del 5 settembre 1944 alcuni abitanti di S. Piero Agliana percorrevano la strada che dalla località Ponte dei Nesti conduceva al paese per rientrare alle loro abitazioni abbandonate due giorni prima, per il timore di rappresaglie in seguito all’uccisione di due militari tedeschi, avvenuta a S. Piero A. domenica 3 settembre. All’altezza della località Cancello dei Marini il gruppetto composto da Giovanni Nesti, Paoli Corrado, Bellini Alfonsina nei Paoli, Ugo Palandri, Arrigo Palandri e Ugo Baldi, si soffermava qualche momento, avendo sentito dire che nella località si trovavano alcuni soldati tedeschi; ma venivano avvicinati da quattro individui armati. Uno di questi dopo aver rivolto al Nesti le parole: “noi diamo la caccia ai tedeschi, ma anche tu per me sei un tedesco, tu che volevi affamare me ed i miei figli” senza attendere risposta, gli esplodeva contro un colpo di moschetto, alla distanza di pochi metri. Il Nesti ferito all’altezza della spalla, barcollava e scivolava lentamente per terra, venendo ancora raggiunto da uno o due proiettili esplosi contro di lui dallo stesso individuo che si allontanava dal luogo, seguito dagli altri tre compagni, dopo aver constatato che l’aggredito era morto. Alcuni presenti trasferirono il cadavere nella chiodina sottostante al cancello dei Marini.
Gli episodi sopra riportati diventavano oggetto di indagine attraverso due dettagliati rapporti della Questura, solo nell’aprile del 1949.
Le indagini accertavano che il Nesti era stato ucciso da Borgioli Marino che era in compagnia di Magni Elio detto Cacaccino, da Maselli Altibano detto Cesarino e di un quarto individuo non identificato. In ordine a tale delitto veniva emesso mandato di cattura dal giudice istruttore di Pistoia e l’imputato Borgioli veniva tratto in arresto l’11 aprile 1949. Essendo stata accertata la qualifica di partigiano e non sussistendo prove certe che si trattasse di delitto comune, in applicazione all’art. 1 del D.L. 6 settembre 1946 il mandato di cattura veniva revocato e il Borgioli scarcerato il successivo giorno 16 di aprile. L’istruttoria veniva chiusa con sentenza del 5 aprile 1950 del giudice istruttore di Pistoia con il rinvio a giudizio alla Corte di Assise di Firenze dove fu comminata una prima condanna.

Quale la versione del Borgioli? L’accusato durante il processo racconta che “ai primi di settembre fu deciso di passare all’attacco in campo aperto contro i tedeschi e i fascisti repubblichini”. Gli viene comunicato da Magni Lido, comandante della formazione partigiana di S. Piero A. che “era giunto il momento di eliminare franchi tiratori tedeschi e fascisti che avevano dato maggior noia nel passato e che erano maggiormente responsabili della situazione”. Il Borgioli dichiara altresì che il Magni aveva approvato l’operazione dell’uccisione del Nesti sostenendo che era prima del 25 luglio 1943 un fascista accanito sebbene non sapesse se fosse stato “squadrista” e poi iscritto al “fascio repubblicano” ed ignorasse quale attività avesse svolto nel periodo repubblicano. Il Borgioli concludendo afferma: “In definitiva io ho soppresso il Nesti perché ho ricevuto l’ordine dal comando partigiano e perciò mi sono sentito tranquillo”.
I compagni della pattuglia non dovevano conoscere la decisione, a suo tempo, presa dal comando. Ma l’ordine c’era davvero? Chi l’aveva effettivamente dato, quando e perché? In ogni modo c’erano, le condizioni oggettive, per procedere all’esecuzione capitale secondo le disposizioni partigiane?
Nel corso del dibattimento importante fu la deposizione del comandante partigiano Del Monaco del 25 marzo 1952 che spiegava quali dovevano essere i criteri per procedere alle esecuzioni capitali. Potevano essere giustiziati immediatamente sul posto, senza bisogno di alcun processo “i franchi tiratori catturati mentre operavano contro le forze della resistenza o contro la popolazione e coloro che venivano trovati con le armi in pugno”. Ben presto risultò che il Nesti non era armato e si dirigeva verso la sua abitazione cercando di sfuggire i tedeschi, di cui era stato detto essere “amico”. Allorché si incontra col Borgioli, non compiva alcun gesto che potesse renderlo sospetto e stava in compagnia di altri sfollati amici di S. Piero, per tornarsene alla propria abitazione.
Quali le ragioni, allora, che ne determinano l’uccisione?
Stando alla lunga lista delle deposizioni dei testimoni ed in particolare di quanti avevano responsabilità fra i partigiani, appare utile soffermarsi soprattutto sulle testimonianze dei comandanti partigiani del tempo. In sostanza in un primo momento si riconosce che era stata proposta l’uccisione.
Al dibattito, però, viene fornita una ben diversa versione secondo la quale, qualche mese prima, in una riunione notturna alla quale avevano preso parte una decina di partigiani fra i quali oltre al Borgioli, Lido Magni, Anelito Pastacaldi ed uno sconosciuto comandante di Pistoia noto come Catena, era stata formata una lista di persone da eliminare comprendente il maresciallo della GNR Moroni, un certo Bugiani – proposto da Catena –, il segretario del fascio repubblicano Floris, il carabiniere Nello Semplicini ed il Nesti, il cui nominativo non era stato fatto dal Borgioli ma da uno dei presenti di cui non si ricorda l’identità.
Il Magni Lido, a sua volta, in un primo momento depone che “il comando aveva dato ordine generico di eliminare tutti i fascisti pericolosi” ammettendo di “aver potuto dare al Borgioli ordine specifico di uccidere il Nesti che era nella lista dei fascisti pericolosi”.
In un secondo tempo sostiene che il Nesti risultava al comando partigiano “essere amico dei tedeschi”. In passato avrebbe fatto mandare al confino diverse persone fra le quali Aldobrando Risaliti aggiungendo però che non ricordava chi “avesse fatta la segnalazione della sua uccisione sulla quale tutti erano stati d’accordo”.
Il Pastacaldi in un primo momento dichiara che il Nesti era fascista “per voce pubblica” ma che egli non “sapeva se avesse avuto rapporti coi tedeschi”. “Era stata fatta una nota di fascisti pericolosi fra il quali il Nesti” e tale inclusione “era stata approvata dal comando” che era formato dal Magni e dal Pastacaldi. Egli, comunque, “non poteva riferire fatti specifici a carico di qualcuno commessi dal Nesti nella sua qualità di fascista”.
Nel prosieguo del dibattimento il Pastacaldi viene a smentire precedenti dichiarazioni. Infatti afferma che “i nominativi di coloro che dovevano essere soppressi non erano stati fatti dalla formazione partigiana di S. Piero ma che arrivarono da Pistoia”.
Alla corte apparve, ben presto, la preoccupazione di aiutare il Borgioli da parte dei capi partigiani, interessati peraltro ad evitare di essere coinvolti quali concorrenti nella consumazione del delitto. Nessuno ha fornito generalità del Catena/Dolfi, non ha specificato se si trattasse di una o più persone colui/coloro che avrebbero proposto di inserire il Nesti nella lista delle persone da eliminare, soprattutto, non sono stati precisati gli addebiti precisi per decretarne la morte.
Alla stessa Corte sembrò come nonostante le minuziose ricerche di qualsiasi elemento utile all’imputato, nessun addebito poteva essere mosso al suddetto ex-fascista. Stando ad una minuta ricognizione risultava che il Nesti è stato un fascista, certamente; nel 1929 per un paio di mesi ha ricoperto la carica di segretario politico del PNF locale, ha avuto una posizione di piccolo “gerarca” che in un paese di qualche migliaio di abitanti, quale è S. Piero, lo ha messo in primo piano fra i suoi concittadini, ma non ha mai compiuto reati, non ha usato violenze, non ha infierito su alcuno e ciò che maggiormente conta, è rimasto del tutto estraneo a qualsiasi attività politica durante la Repubblica di Salò. L’addebito di aver diretto le squadre d’azione nel periodo dal 1921 al 1925 è rimasto privo di ogni prova. Lo stesso addebito di aver determinato un procedimento penale, nel 1926, a carico di Risaliti Aldobrando risulta smentito dalla lettura degli atti processuali e dalla sentenza che è stata di proscioglimento. L’addebito fattogli di aver fatto inviare il suddetto Risaliti nel 1940 non poteva essere presa in considerazione seria perché lo stesso interessato lo ha lealmente smentita. L’addebito di aver aiutato i nostri soldati a spogliarsi dopo l’8 settembre 1943 per “aprire le porte alla invasione tedesca” veniva ritenuto grottesco ancor più che puerile e malevolo giacché è risaputo che tanti italiani in quel frangente si prestarono per salvare dalla deportazione o dalla fucilazione i soldati rimasti in balìa degli eventi, così come è altrettanto noto che alle formazioni partigiane accorsero numerosi soldati che avevano abbandonato la divisa per “non combattere a fianco dei tedeschi”.

L’addebito di aver fatto la spia dei renitenti non trova il conforto della citazione di un solo caso. L’addebito, infine, di aver frequentato i tedeschi, per richiedere dei porto d’arma per uso di caccia, si rivela inconsistente in quanto risulta che il Nesti per ottenere tale porto d’arma si avvaleva di un suo parente (Averardo N.) abitante alle Querci, che aveva sposato una signora di origine austriaca e che faceva l’interprete presso i tedeschi (né a tale circostanza può essere attribuito un valore diverso da quello che effettivamente è risultato, in assenza di qualsiasi altro elemento).
All’opposto, veniva sottolineato, che lo stesso Borgioli non doveva avere alcun motivo specifico di risentimento verso il Nesti, almeno fino all’8 settembre 1943 se proprio lui lo difese in tale occasione.
Quale fu il ruolo della pattuglia che accompagnava il Borgioli?
Risultò che il Magni Elio, che era insieme al Borgioli, sapeva di andare “in cerca di tedeschi e di franchi tiratori” ma che assistette alla uccisione ignaro di tutto. L’altro, il Maselli, non solo dichiarò di non essere stato informato ma che lui “non avrebbe sparato sul Nesti perché non aveva rancori ed era un uomo buono”.
Come spiegare allora la vicenda?
Rimaneva alla Corte di prendere in esame l’episodio relativo alla richiesta di denaro fatta e rifiutata dal Nesti da parte di Borgioli Orazio, figlio di Marino insieme a Frosini Elio, nel luglio 1944. L’imputato affermava di aver sempre ignorato che detta richiesta fosse stata fatta ed ha riconosciuto di aver detto al Nesti prima di sparargli che lui “voleva affamare la sua famiglia”. Alla corte appare assai strano che il Borgioli Orazio non abbia mai detto al proprio padre che il Nesti aveva rifiutato il denaro richiesto, per i partigiani fra i quali si trovava l’imputato ed appare ancora più strano che l’imputato non l’abbia saputo da qualcuno. Ma oltre a ciò la frase sopra richiamata non troverebbe alcuna giustificazione se non venisse messa in rapporto con il mancato versamento del denaro, specialmente, lo si deve rimarcare, quando si pensi che nel settembre 1943 il Borgioli protegge il Nesti e dopo quella data non ha mai avuto più rapporti con lui.
Alla luce dei fatti e delle varie considerazioni surriferite la Corte condannava il Borgioli per omicidio, “per un risentimento privato contro il Nesti il quale aveva rifiutato ad un di lui figlio una somma di danaro” giudicando tale azione delittuosa, estranea ad un gesto politico cui poteva essere applicata l’amnistia. Sulla determinazione criminosa aveva “influito un sentimento di basso rancore o di vendetta personale”.
La Corte giudicò il Borgioli responsabile della uccisione del Nesti di sua iniziativa, agendo altresì contro gli ordini generali impartiti dalle autorità. Ritenne che nessuno dei provvedimenti di amnistia fossero in concreto applicabili alla fattispecie in esame (D.P. 22.06.1946 in relazione a D.L. 17.11.1945). Dopo la prima sentenza del 23 dicembre 1952 la Corte di Cassazione in udienza pubblica del 29 dicembre 1953 respingeva i ricorsi fatti e confermava i giudizi emessi in modo netto:
“Questa suprema corte ha ripetutamente insegnato che, perché dette amnistie possano essere applicate, fa mestieri che l’azione antifascista costituisca il movente, non solo immediato e diretto, ma esclusivo del fatto delittuoso diguisaché deve escludersi l’applica-zione del beneficio quando nella determinazione criminosa abbiano influito sentimenti di basso rancore o di vendetta personale. Nel caso concreto destituita quindi di giuridico fondamento è la censura relativa alla negata applicazione dell’amnistia”.
Nella sentenza si reputava adeguata la pena di 14 anni di reclusione – partendo da anni 21 – ed apportando la riduzione di un terzo per le attenuanti generiche oltre alla interdizione perpetua dai pubblici uffici, alla interdizione legale durante la pena e con la sottoposizione alla libertà vigilata per la durata non inferiore a tre anni. Il Borgioli, deve inoltre, essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, al risarcimento dei danni, nella richiesta misura di £ 1 in favore della parte civile Chiti Giuseppa ved. Nesti, nonché al pagamento delle spese ed onorari verso la stessa parte civile, nella misura, ritenuta equa di £. 90.000. Anni 10 e mesi otto della pena come sopra inflitta devono essere dichiarati condonati”.
3.2 Al Castel dei Fabbri: l’omicidio di Nello Semplicini
Nella stessa giornata del 5 veniva ucciso l’appuntato dei carabinieri Nello Semplicini. Ricostruiamo i fatti. Verso le 16 del medesimo giorno quattro individui armati si presentavano nel cortile del fabbricato detto Castel dei Fabbri, nella via di Serragliolo di S. Niccolò Agliana. Mentre due di essi si trattenevano a discorrere nel cortile, gli altri due si recavano nella abitazione di Dante Seghieri. In compagnia del quale, poco dopo discendevano. I quattro rimanevano nel cortile. C’è da supporre che gli abbiano chiesto dove si trovava esattamente il Semplicini. Il Seghieri dopo essersi recato in una casa colonica vicina ritornava poco tempo dopo insieme all’appuntato già in servizio alla Stazione di Agliana. Uno dei quattro armati, un certo Antonio Marinaro, gli andava incontro per salutarlo. Ben presto un altro vuole rassicurarsi che sia proprio il Semplicini e senza pronunciare parola il Borgioli Marino gli esplodeva contro un colpo di moschetto, mentre un altro, Magni Rolando contemporaneamente gli sparava una raffica, cagionandone la morte istantanea.
Soltanto cinque anni dopo venivano presi in considerazione i fatti di quel pomeriggio del 1944, sulla base di un dettagliato rapporto della Questura di Pistoia.
Gli imputati della morte del Semplicini furono Borgioli Marino (1899), Magni Rolando (1923) e Santini Ottorino (1902). Il Marinaro non fu accusato perché nel frattempo risultava deceduto, ucciso dai tedeschi. Nell’istruttoria Borgioli e Magni imputati affermano che l’eliminazione del Semplicini era stata decisa dal Comando locale dei partigiani in quanto il Semplicini era un carabiniere che aveva prestato giuramento alla Repubblica Sociale Italiana di Mussolini e si era reso responsabile di molte colpe. Alle dipendenze dell’allora maresciallo Moroni avrebbe terrorizzato i giovani della zona e fra l’altro avrebbe catturato M. Sergio che poi riuscì a scappare. In modo particolare avrebbe preso parte al conflitto a fuoco avvenuto nella notte del 3 marzo 1944 in cui rimase vittima un giovane russo Ivan Baranowskij detto Paolo.
L’imputato Santini Ottorino, padre di un partigiano ucciso dai tedeschi, pochi giorni prima, dichiara che il Borgioli e il Magni lo avevano invitato ad andare con loro “per prelevare ed ammazzare un tedesco” aggiungendo che quando si accorse del Semplicini pensò che lo volessero accompagnare al Comando. Quando invece vide “che i compagni sparavano” si copriva gli occhi per non vedere, restando sbigottito anche con il Marinaro che non se l’aspettava. I testimoni confermavano l’andamento dei fatti. La Corte, per le stesse ragioni in precedenza motivate, non ritenne che sia stato dato ad essi alcun ordine ed è convinta che la determinazione è sorta nei due imputati allorché essi transitarono nei pressi della abitazione del Semplicini. Il Magni in udienza dichiara al riguardo che “arrivati all’altezza della casa Seghieri, tra me e il Borgioli ci si consigliò dato che ritenevamo che il Semplicini dovesse trovarsi da quelle parti”. D’altra parte il Santini e il Marinaro che pur partecipavano all’azione niente sapevano della decisione di sopprimere il Semplicini, cui anzi il Marinaro andrà incontro, stringendo la mano.
Perché, dunque, l’omicidio?
Di fronte alla prima accusa dagli atti risulta che il Semplicini non partecipò al noto conflitto a fuoco verificatosi nella notte fra il 2 e il 3 marzo 1944. La di lui vedova ha sempre deposto che, al momento dell’attacco alla caserma suo marito dormiva con lei e che fu mandato a chiamare da un certo Renato, poi identificato e che il maresciallo lo mise a piantonare il partigiano caduto. Il proprietario della casa in cui dormiva, Arrigo Cappellini, conferma la deposizione della moglie.
Si obietta, però, che il carabiniere fu promosso appuntato proprio grazie a tale operazione.
Alla resa dei conti tale accusa risulta priva di fondamento in linea di principio e poi di fatto. In linea di principio non convince che vi possa essere stata la promozione successiva all’assalto della caserma giacché se una ricompensa doveva essere assegnata sarebbe stata concessa al Comandante della Caserma, al Maresciallo e non ad un solo dei suoi dipendenti.
Ci sono, però, di fatto, le prove per dimostrare che la promozione al Semplicini fu concessa prima dello scontro alla Caserma, probabilmente a seguito del servizio da lui prestato a Rodi nel Dodecaneso.
In rapporto, poi, alla personalità dell’appuntato risulta che non ha esplicato attività in senso antipartigiano. Certo era in servizio ma adempì agli ordini tassativi ricevuti, senza dimostrare particolare zelo. Modificando le prime valutazioni espresse nella fase istruttoria, la corte dei livelli successivi cambia parere sulla base di testimonianze come quella del segretario del Comune dal 1 aprile 1944. Il segretario Ciampi riferisce che una notte, forse ai primi di giugno 1944, mentre si trovava compreso in un gruppo di duecento persone comandate coattivamente dai tedeschi a vigilare lungo la linea ferroviaria in danno della quale erano stati commessi degli attentati, il Semplicini che presiedeva al servizio chiamò il Ciampi assieme ad un’altra decina di persone nella Caserma dei Carabinieri a Chiazzano, una località vicina a Pistoia, affinché trascorressero la notte al coperto. In quell’occasione l’appuntato dichiarò che se si fossero presentati i partigiani egli stesso avrebbe loro consegnato le armi e che lui se ne sarebbe andato a casa, dimostrando come fosse stufo di quel tipo di vita. Dalla metà di giugno egli non è più in servizio attendendo ai lavori dei campi presso la famiglia dove abitava. Nel momento in cui fu ucciso aveva cessato da tempo ed in modo definitivo di essere una persona militare accanto al nemico, non era nemmeno da un punto di vista potenziale un nemico ostacolante i fini che si proponeva la lotta di liberazione.
Dopo attenta indagine la Corte di Cassazione – sezione prima penale – in data 29 dicembre 1953, ritenne seppure in termini diversi, colpevoli sia il Borgioli sia il Magni sia il Santini per concorso in omicidio volontario. È interessante soffermarsi sul fondamento giuridico delle sentenze.
La decisione della Corte di merito è censurata sotto tre aspetti e cioè:
a) per aver erroneamente escluso l’applicabilità dell’amnistia di cui ai citati decreti 5 aprile 1944 n. 96 e 17 novembre 1945 n. 719: in assenza di qualsiasi causale di carattere privato, dovevasi ritenere che i delitti erano stati commessi per fine patriottico, nello stato di lotta contro il fascismo;
b) per aver erroneamente escluso la tesi difensiva di aver agito per l’adempimento di un ordine, loro impartito, concernente l’eliminazione delle forze nazifasciste;
c) per avere ingiustamente affermato la partecipazione del Santini all’omicidio in persona del Semplicini.
Ora è agevole rilevare come tutte le riprodotte censure siano inattendibili. In quanto, sotto il rituale aspetto di una pretesa violazione di legge o di asserito difetto di motivazione, sostanzialmente si risolvono in una mera critica di un apprezzamento di fatto, insindacabile in questa sede perché immune da ogni vizio logico-giuridico.
Detta censura si infrange contro un chiaro e sicuro apprezzamento di fatto dei giudici di merito, da questi diffusamente giustificato “sulla base delle parziali ammissioni dello stesso Santini. Tutti e tre furono ritenuti meritevoli delle attenuanti generiche previste dall’art. 62 bis del C.P. in considerazione dell’atmosfera arroventata a causa della guerra che allora infuriava.
Viene confermata pertanto la condanna di Borgioli Marino ad anni ventuno di reclusione e Magni Rolando ad anni quattordici col condono di anni quindici per il Borgioli e di anni dieci e mesi otto per il Magni. Il Borgioli dovrà rispondere di un unico delitto di omicidio continuato, anziché dei due distinti reati contestatigli. Il Santini Ottorino sarà dichiarato responsabile della minima partecipazione al fatto e condannato ad anni nove e mesi quattro di reclusione con il condono di anni nove, un mese e dieci giorni.
“La Corte Suprema visti gli art. 537 e 549 del C.P.P. rigetta i ricorsi proposti da Borgioli Marino, Santini Ottorino e Magni Rolando contro la sentenza 23 dicembre 1952 della Corte di Assise di Appello di Firenze. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido delle ulteriori spese processuali, ivi comprese quelle a favore delle due parti civili (Nesti e Semplicini) che liquida in lire 75.000 per ciascuna di dette parti civili e condanna altresì, ognuno dei detti ricorrenti alla sanzione pecuniaria di £. 5000 a favore della Cassa per ammende”.
[Stralcio-citazione da: Provincialia. Scavi sull’identità degli italiani]
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