
« NON LO VEDO DA DUE ANNI:
TROPPE ASSENZE, TROPPI DANNI »

STUPISCO sempre di più quando osservo Pistoia ed esamino il modo con cui, in questo sarcofago di quattrinai con il fondo dei pantaloni lucido e liso, si creano e si confezionano le notizie.
Eppure è dal novembre del 1967 che ho messo piede per la prima volta in redazione alla Nazione (si trovava in un appartamento in piazzetta della galleria Nazionale; di proprietà della mamma di Luigi Egidio Bardelli) senza smettere mai più.
Ma, da allora a oggi, diavolo se le cose sono cambiate! Allora se una notizia usciva sul Gazzettino di Casale o sulla Castagna di Piteccio, e per una qualche ragione la riprendevamo, non c’era bisogno di dire che ce ne eravamo accorti perché quella notizia era stata data da Facebook di Massimo Bianchi il Loppa.
Di solito – all’epoca in cui La Nazione era diretta da Enrico Mattei ed era classificata come fascista, non era vietato rammentare le cose col loro nome come in quest’era del politicamente corretto, in cui tutto fa scandalo e in cui alcuni devono essere cancellati dalla memoria anche se sono in vita!

Una di queste cose, per esempio, è Linea Libera, la bestia nera di tutti, per cui non è consentito pronunciarne il nome. Bene, però: perché – alla faccia dei cattocomunisti consociati antifascisti, antinazisti, antirazzisti & rompipalle – il comandamento è chiarissimo: Non nominare il nome di Linea libera invano! Lo dicono anche a Agliana quelli della giunta Benesperi incoraggiati dalla segretaria comunale.
Così questo è successo per Report – noi non siamo emarginatori di professione radical correct e i nomi propri li usiamo liberamente– e per Marzio Dolfi, che ha flemmaticamente narrato il narrabile, ma anche l’inenarrabile o il proibito. C’è cascato o voleva compiacere il sacerdote della Vergine di Valdibrana?
Ci piace soprattutto sentire l’autodifesa di don Manone Bardelli. Al padrone di tutta Pistoia, a cominciare dall’allora redazione unica di La Nazione – dove la sua mamma s’intrometteva spesso e volentieri a controllare che non le rovinassimo le preziose mura in affitto – sanguina letteralmente il cuore nelle dichiarazioni rilasciate; e commenta: «Me lo ero quasi affigliolato, e lui lo sa». L’abate di Tvl sta parlando di Lorenzo Lurci, ovviamente; il Bracco della Ronda spalla di Massimo Bianchi, Loppa – pure lui fatto fuori a secco, a un certo momento, forse perché troppo amico dell’embrione originario di questa testata (tanto che Quarrata/news fu querelata dal sant’uomo e dalla sua corte).
È stupefacente la luce che emana, in aureola, dalla sua testa già benedetta in vita dalla mano di Giovanni Paolo II di Polonia; e destinata ai “cavalieri della luce” di cui Egidio fa ancora parte, forse. Ma il colpo di genio – perfettamente còlto dal Dolfi per Report – eccolo: è quel «e lui lo sa». Non si può assolutamente tralasciare, nell’esegesi biblica dell’espressione dolfificata, proprio la congiunzione E, che enfatizza uno stato d’animo superato solo dal pianto dell’Elsa Fornero allorquando, dopo le lacrime e il sangue fatti versare da un famoso gesuita come Mario Monti (anche lui sempre a pregare in chiesa e d’inverno con il loden): un pianto di stelle (Pascoli) con cui la professoressa inculò a secco, lei donna e senza attributi e apposizione, milionate di italiani disfatti da lavoro e, soprattutto, dalle tasse.

«Me lo ero quasi affigliolato, e lui lo sa» si porta dietro, come una motrice di Etr 1000 “della Broda” (come diceva il vecchio Mazzino Gargini, sempre alla Nazione), un sottinteso ma percepibilissimo: «Figliol prodigo di un Bracco! Cattivone! Io ti c’ho avuto nel Quore dell’Azzolina e tu mi sei andato allegramente nel Qulo (stavolta è Valeria Fedeli).
«E ricorda – sempre il Bardellone, scrive il Dolfi – le disavventure delle prime buste paga, i prestiti troppo facili concessi da alcune banche, la moltiplicazione delle rate impossibili da pagare»: sì, ma la domanda è una e trina come ciò in cui non credono i cattolici mangiaostie e abbracciapile.
Don Manone cosa sta facendo, con Dolfi? Spiega le assenze di Bracco o si diverte a sputtanarlo perché la città degli elemosinieri appoggi la beatissima Assunta in cielo in questa santa crociata contro, appunto, il figliol prodigo scialacquatore?
Direbbe Antonio Di Pietro, quello che, non sapendo parlare l’italiano, ha assassinato la repubblica dei ladri (e quella di oggi, cosa sarebbe, scusate?), che c’azzecca a raccontare al popolo e al contado delle condizioni molto private e personali di Lorenzo Lurci?
Dieci minuti fa Bracco mi ha telefonato ed era – giustissimamente – incazzato come una belva. Si chiedeva il perché dello sputtanamento piamente religioso del Bardellone diffuso da Report…
E poi altre chicche su chicche. Cito ancora: «Ricorda (don Manone – n.d.r.) di quando, travolto dai debiti, si era buttato (ovviamente Bracco – n.d.r.) dal ponte di San Marco. C’era la neve. Prima il pronto soccorso poi una telefonata in piena notte dal Bar Aurora: “un certo Lorenzo chiede di lei”. Era disperato. Passò una notte al Leon Bianco perché non voleva tornare a casa»: scusate, gente, ma… alla faccia del cazzo della santa privacy!
Se il Bardelli fosse stato prete davvero, e se avesse confessato il Lurci, cosa ci avrebbe raccontato? Forse anche con quante senegalesi aveva sputtanato i suoi quattrini?

Ma caro abate Manone, anche tu dici di essere un giornalista! E ti permetti di di raccontare ’sta roba? E l’ordine dei giornalisti che farà? Tacerà come ha fatto con certi iperprotetti del Pd?
Della vita di Bracco tutto si mette in piazza: «Un ricordo amaro (quello del Bardelli – n.d.r.) che continua con la “battaglia” con le banche per non fargli pignorare lo stipendio. Poi l’approdo in Aias (“per dargli modo di vivere”) e l’affiancamento con il Loppa», ma in séguito licenziato, come avete visto.
Accidenti, Report! Quant’è buono e bravo il Bardelli! Nemmeno beato e cavaliere della luce, addirittura pater aeternus di Bracco innalzato fino al cielo su cui lui, Lorenzo Lurci, ha sputato come un Lucifero cacciato giustamente all’inferno.
Ma si può, obiettivamente, trattare dio-bard con tanto disprezzo? Non lo sa, Bracco, che «il dio che atterra e suscita, che affanna e che consola», tronca anche le gambine di Napoleone? Ma dio è buono e perdona tanto per un gesto di misericordia (Manzoni) e «la pietà divina ha sì gran braccia che prende ciò che si rivolge a lei» (Dante).
Quindi… Quindi cosa? Luigione riaccoglierà tra le sue pecorelle smarrite Bracco se farà da contessa Matilde a Canossa, e ammazzerà il suo vitello più grasso o… o chissà cos’altro prima di accompagnarlo all’uscio della Maic e chiudergli la porta alle spalle dopo che ha fatto sapere, urbi et orbi, e con dovizia di particolari, tutti i peggiori momenti della vita più personale di un uomo non particolarmente fortunato?

La cosa migliore credo che l’abbia scritta Massimo Bianchi, il Loppa, su Facebook. Mi ha comunicato: «Ho scritto qualcosa pure sulla mia pagina, che la beneficenza si fa in silenzio». Forse Loppa non lo sa che quello che ha scritto lo aveva già detto San Paolo più di duemila anni fa.
Ma senz’altro non lo sa neppure Luigi Egidio Bardelli, perché le lettere di San Paolo le deve aver perse per strada una sera in cui pioveva e lui stava andando a parlare per il Canto al Balì, mentre un cane randagio, mézzo-intinto, sotto l’acqua, lo fece cadere in una pozza di banalità condite con concentrato di papafrancesco.
Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.info]
Diritto di critica anche tranchant come dice Alessio Bartolomei
Luigi Egidio avrà mai lasciato, negli ultimi due anni, le sue 99 pecorelle, in fila per tre col resto di due, per andare a cercare Bracco canticchiando «E ti vengo a cercare» di Franco Battiato? O se ne sarà rimasto comodamente seduto in poltrona?
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