Poi Gesù disse ai suoi servi: «La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze»
D’ora in poi non due pesi e due misure, ma 200 pesi e altrettante misure
VALANGHE DI SOLDI BUTTATI PER NULLA
TANTO A PAGARE CI PENSA IL POPOLO

Nessuno potrà accusarmi di essere un anti-Biancalani. Non ho mai attaccato il don e ho sempre pubblicato senza battere ciglio né fare polemica tutti i comunicati del Comitato antirazzista antifascista di Vicofaro.
Mi preoccupano, invece, e non poco, le schizofrenie della giustizia pistoiese. E mi chiedo – come da due anni e mezzo a questa parte – in che modo lavorino il PM e i sostituti in quest’atomo opaco del male di una Pistoia che è meglio definire Sarcofago City.
Che metodi di indagine seguono se, quando si arriva al redde rationem (cioè alla conclusione, avvocata Elena Giunti), si scopre che:
— il processo Bertinelli era una bolla di sapone messa su per sommi capi e indizi e senza indagini (l’ha detto l’avvocato Sarteschi, non lo stalker Bianchini);
— la storia della Comunità Montana è andata avanti con cifre da milionate di euro e poi s’è sgonfiata come il palloncino comprato alla fiera di Casale;
— si butta in galera una ragioniera come la Silvia Sarno (braccialetto al piede!), anche se lei altro non ha fatto che seguire le istruzioni – così si dice – della dottoressa Nicoletta Curci, giudice delle esecuzioni e moglie di Claudio Curreli che, pur essendo sostituto PM, si diletta a regolare il traffico dei neri irregolari con in mano la paletta di Terra Aperta;
— il colmo è e resta un processone con due arrestate – vigilesse di Agliana – e un anno di intercettazioni telefoniche, con 18 mila pagine di trascrizione, ovviamente a carico del contribuente, solo perché un’altra vigilA, di nome Traversi, è saltata su dicendo al luogotenente Maricchiolo, che «le s’erano arrubbàta una chiavA». Mi sembra di seguire un processo alle streghe.
Lo sanno anche i “bachini da sego”, in termini propri bigattini, che una cosa non può essere contemporaneamente sé e non-sé. Nel caso di specie magistrato e operatore in aree contrarie alla legge stessa. Tertium non datur – dice la logica aristotelico-scolastica – se non nel caso, strano assai, della trinità in cui credono i fedeli di ascendenza cristiana.
Ecco. Vivere a Pistoia, in rapporto all’amministrazione della giustizia, è come vivere in una eterna trinità: una cosa è / non è / non si sa a seconda dei casi e delle persone che ne dipendono.
Non me importa nulla del famoso giustizialismo dei 5 Stelle: tutti abbiamo visto cos’era al momento di staccarsi dalla puppa della statale vacca da latte. È stato un incenerimento delle casalinghe di Voghera. Preferivano gli euro alla onestà-onestà-onestà.

M’importa invece tantissimo vedere che, con tutto quel che paghiamo la procura con annessi e connessi (e sono milioni), si arriva in aula, dopo aver buttato via quattrini a man bassa, e ci si accorge che tutto quello che era stato messo insieme era solo una vescia; uno di quei funghi fatti a palla che, quando li pesti, fanno puffff e spargono intorno polverina grigia inconsistente. È allora che ti chiedi come hanno lavorato i difensori della legalità che noi paghiamo profumatamente e che, in non pochi casi, ci trattano da dementi e cittadini senza diritti, se non scarti umani.
Ci voleva proprio, come ha scritto La Nazione, il giudice Barba Floris e il pubblico ministero Patrizia Felcioloni per scoprire il segreto dell’acqua calda? E preoccupa anche la considerazione – riferita dal cronista della Nazione – alla base delle richieste della Felecioloni stessa, che ha giustificato il suo ragionamento sulla base di “fatti di lieve entità e in un contesto di accoglienza di persone rifugiate”.
Volete il termine di paragone con questa situazione politicamente scorretta e sbilanciata rispetto ai comuni mortali che, a seconda del loro cognome, vengono non solo perseguitati, ma addirittura mazziati e/o mazzolati, se non sottoposti allo strappo delle unghie con le tenaglie? Èccovelo.
Circa un mese fa, nell’aula del giudice Alessandro Azzaroli è entrata una cittadina cui era contestata (senza peraltro indagini di sorta, ma solo in base alle lagnanze di alcuni pochi eletti evidentemente graditi al sistema perché ossequienti) una ammenda da 150 euro: valore reale che oggi risulta inferiore alle 150 mila lire di un tempo felice che fu.
Più lieve di così, cosa poteva esserci? Il reato, forse, di atti osceni in luogo pubblico per essere stati sorpresi a scaccolarsi all’aria aperta come i guidatori ai semafori rossi?

Ebbene, per un puntino sulla «i», definito «’na cacatiell’ ’e mosca» dal famoso maresciallo impersonato da Vittorio De Sica, in aula come pubblica accusa c’era addirittura il dottor Giuseppe Grieco e non – come in questo caso di Vicofaro – una Vpo quisque (pubblico ministero onorario qualunque) come l’avvocata Patrizia Felcioloni, non togata.
Pensate solo a questo: che la Vpo ha parlato di fatti di lieve entità e di comprensione politico-sociale per i rifugiati; Grieco, al contrario, per un presunto schiamazzo notturno, ha ottenuto ben 15 giorni di arresti.
Sono queste, Gip Martucci, le attendibili «autorità costituite»? È questa, dottor Coletta, la giustizia per le «persone comuni» di cui lei si gloriava vantatamente?
Tutto questo può avere un solo nome: confusione. Anche mentale, a mio parere.
Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.info]
Sostenete questo quotidiano con un piccolo contributo attraverso bonifico intestato a
«Linee Stampalibera» Iban IT64H0306913834100000008677 su Intesa San Paolo Spa - Pistoia. Riceverete informazioni senza censure!