inceneritore in appello. LO SFORAMENTO DEL 2007? UN PERICOLO INCONTROLLATO

L’inceneritore di Montale
L’inceneritore di Montale

PISTOIA-PIANA. Questa deve essere la giornata dell’inceneritore di Montale. È iniziata almeno così, stamattina, con un intervento del nostro Alessandro Romiti (vedi), ma poi c’è stata un’altra importante novità: è uscita la sentenza di appello della penosa storia Tibo-Cappocci, relativa agli sforamenti del 2007; 14 pagine che gettano una luce piuttosto sinistra su quell’ecomostro che sta inquinando – stando a quanto si legge in sentenza – pericolosissimamente tutta la Piana, alla faccia di chi ha sempre sostenuto che tutto andava bene e che la colpa era dei carboni utilizzati per abbattere i microinquinanti.

Ma procediamo con ordine. Sono due gli elementi che illuminano in maniera poco lusinghiera l’azione del Cis-Montale e delle amministrazioni inceneritoriste della Piana Pistoiese.

Per semplificazione estrema, ma utile a far capire il come e il cosa, ripasseremo schematicamente la lezione tornando indietro nel tempo.

All’epoca Legambiente intraprese un’azione giudiziaria nei confronti di Tibo e Cappocci, presidente e direttore – se non erriamo – del Cis. Toccò però al difensore di parte, l’avvocato Pamela Bonaiuti, provvedere a presentare al giudice, la dottoressa Rosa Selvarolo (salvo errori), il cosiddetto Atp, accertamento tecnico preventivo effettuato sul discusso impianto di Montale.

E qui sorge la prima domanda: doveva proprio essere una parte a muoversi in questa direzione su un ecomostro – sotto ogni profilo – ormai quasi da tutti riconosciuto (e anche in sentenza) come produttore di effetti imprevedibili per la sua complessiva e imprevedibile instabilità?

I Pm, al momento del processo, erano il dottor Renzo Dell’Anno e il dottor Raganella (oggi trasferito in Calabria, al Tar – salvo errori). Dell’Anno era il Pm che si distingueva, all’epoca, per aver sostenuto lo stile dei “bassi profili”: disse, pubblicamente, che non intendeva legare il suo nome alle bandiere degli agitati comitati civici e ambientalisti. Forse, col senno di poi (e più precisamente di oggi), meglio sarebbe stato che avesse fatto più attenzione a cosa stava accadendo; e per rendersene conto, basterà leggere con attenzione la sentenza di appello, scaricabile dal fondo di questa pagina.

Intanto sarebbe spettato – per procedura corretta – proprio al Pm presentare in aula l’Atp di cui abbiamo parlato; ma in secondo luogo, se andiamo a leggere a pagina 9 del pdf (6 della sentenza) veniamo a conoscenza del fatto che dalla consulenza emerge che nel 2007 non venivano utilizzati sufficienti quantitativi di carbone (si risparmiava sulla spesa a danno della salute, forse? O che altro?) e che, soprattutto, dopo la riapertura del forno, il sistema appariva assolutamente instabile e imprevedibile: con probabile aggravamento delle condizioni generali di esercizio legate anche ad altri fattori, momentanei e imprevedibili. Insomma: l’inceneritore era una macchina assolutamente inaffidabile, insicura e pericolosa.

A forza di "bassi profili" e di menzogne sconfessate in tribunale (ma sempre troppo tardi)...
A forza di “bassi profili” e di menzogne sconfessate in tribunale (ma sempre troppo tardi)…

Tibo e Cappocci, all’epoca, non furono sufficientemente diligenti nel riflettere e nel decidere sul da farsi, dunque: ma procedendo nella lettura della sentenza di appello si arriva a conoscere che non può escludersi, se non un danno immediato alla salute della popolazione della Piana, uno di tipo a lungo termine; come non è escludibile, per i giudici, che quanto accaduto possa avere comunque influenzato la pericolosità letale dell’inceneritore sulla salute e sul possibile verificarsi di sindromi tumorali nella popolazione. Tutte questo è chiaro e leggibile a pagina 13 del file pdf, 10 della sentenza.

Il secondo – e non meno importante – aspetto di tutta la questione, è legato a un fattore di procedura penale. Il giudice, dottoressa Selvarolo, all’epoca del processo, per stanchezza o che altro (era la tarda serata) avviò, pare, il dibattimento impedendo di fatto ai responsabili civili e alle parti di potersi difendere compiutamente: prima della fase dibattimentale, infatti, il processo si sarebbe dovuto interrompere, aggiornare e avrebbe dovuto consentire alle parti di organizzare la propria difesa.

Così non fu; né gli avvocati di parte fecero notare questo aspetto procedurale non certo secondario, ma determinante e inficiante dell’intero procedimento.

A questo punto, dunque, la domanda è: quanto sono costati, ai Comuni – e quindi alla popolazione dei Comuni della Piana – i legali che si lasciarono sfuggire un particolare così significativo? E tutto questo, al limite, non potrebbe far pensare perfino a un danno erariale?

Conclusione senza conclusione: a fronte di questa sentenza di appello e di quanto accertato e sostenuto dal collegio giudicante (Silvia Martuscelli, presidente; Paola Masi e Anna Fani consigliere) l’ultima domanda resta quella di chiedersi se l’inceneritore, instabile e pericoloso, debba ancora restare acceso e continuare a spargere furani e diossine per tutta la Piana ancor oggi. Sulla gente che vi abita e mangia verdure e pollame.

Voi cosa ne dite?

Scarica e leggi: 2013-2873- CAPOCCI MAURIZIO + 1 – ARTT. 113 – 81 C.P.- 19 N. 8 IN RELAZ. ART. 9 – D.LVO 133 – 2005 -=

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