La nostra funzione, quella di noi giornalisti non delle frittelle dolci o dei necci, ma delle inchieste serie e scomode, è – in questo momento di Medioevo buio e indegno – la più alta espressione dell’anelito verso quella libertà e quella giustizia che, per prime, sono le vittime massacrate dall’amministrazione “negazionista” della Costituzione e dalla macchina stessa dei tribunali…
Il male non è in uno soltanto: è diffuso in molti di coloro che, messi a giudicare secondo la legge e in nome del popolo italiano, si sono arrogati il diritto di porsi al di sopra della legge tanto da far sì che essa non sia, come si dice, uguale per tutti
Primo Levi (1919-1987)
Piedi piegati e terra maledetta Lunga schiera nei grigi mattini. Fuma la Buna dai mille camini, Un giorno come ogni giorno ci aspetta. Terribili nell’alba le sirene: “Voi moltitudine dai visi spenti, Sull’orrore monotono del fango È nato un altro giorno di dolore”
P. Levi, Buna, 1945
IN POCHI conoscono questa poesia di Primo Levi. Eppure in molti, in questo paese sciagurato; in questa regione malmessa e dissanguata da Rossi e dai rossi; in questa sciaguratissima provincia rossa di nome e di fatto (pur se un tempo nerissima di nome e di fatto), vivono – e non se ne accorgono – una situazione esattamente identica a quella descritta dall’ebreo che tornò da Auschwitz, fece lo scrittore e, alla fine, decise (dopo aver stracciato la tessera del Pci e avere sputato sui sionisti successivamente agli eventi di Sabra e Shatila) di gettarsi giù dalla tromba delle scale e farla finita perché non sopportava più il peso di vivere.
Ci sono due modi di reggere la prigionia, sia quella del Lager che quella, inapparente ma non meno reale e micidiale, della società in cui stiamo vivendo grazie al pensiero unico dominante di oggi:
o essere resistenti e combattere a qualsiasi costo, come la bella figura del gladiatore di cui ci parla Seneca, che continua a lottare anche i ginocchio e cade, ma solo da ultimo e per forza
o essere degli idioti che non si accorgono di nulla e che sono felici, anche perché non hanno mai assaggiato direttamente il morso del lupo.
Quest’ultimi sono lì. Belli, grassi e stupidi. Sorridono perché non sanno – e neppure lo immaginano – cosa vuol dire la falsa giustizia e la falsa legalità difese da personaggi quali l’assessore Francesca Marini a Quarrata; la falsa anticorruzione, tutelata, in ogni Comune, da segretari comunali che si intendono di diritto amministrativo quanto io di fisica nucleare; la falsa trasparenza, che c’è ma non c’è e che, al momento opportuno, e a seconda dei casi, si concede a chi ci pare e si nega a chi non deve avere alcun diritto.
Incontri sulla Costituzione. Realtà o inganno?
È questa la condizione del Lager in cui siamo costretti a vivere, e che i comunisti avevano sbraitato trionfalmente, con tanto di bandiere rosse, di avere abbattuto per sempre con la caduta del nonno Benito e dello zio Hitler.
E invece, cari non-cittadini, prendetene atto: niente è per sempre, come dice il Buddha; e guerra è sempre come afferma e sottolinea con forza l’ebreo greco Mordo Nahum in La tregua di Primo Levi.
La realtà che stiamo vivendo è tutta in mano a una pubblica amministrazione che definire corrotta è come dire morbidezza di petali di rosa. E la cosa grave è che coloro, a cui sarebbe affidata la tutela di tutti in nome del popolo italiano, il più delle volte si comportano come vassalli imperiali ed usano la legge a loro esclusivo arbitrio: cioè a rovescio.
Come giornale assolutamente inviso al potere, noi di Linea Libera siamo (e resteremo, perché ancora fortunatamente non esiste l’arcipelago Gulag) costantemente sotto il tiro di ducetti del potere e baldracche della politica che si sbizzarriscono a riempirci di querele e denunce dinanzi alle quali c’è solo una cosa da fare: il segno della croce, esclamando «Padre, perdona loro…».
La nostra funzione, quella di noi giornalisti non delle frittelle dolci o dei necci, ma delle inchieste serie e scomode, è – in questo momento di Medioevo buio e indegno – la più alta espressione dell’anelito verso quella libertà e quella giustizia che, per prime, sono le vittime massacrate dall’amministrazione “negazionista” della Costituzione e dalla macchina stessa dei tribunali, il cui emblema è e resta la figura di Palamara, anche se non è che uno dei mille denti dell’ingranaggio che stritola i deboli e favorisce i forti.
Il male non è in uno: esso è diffuso in molti di coloro che, posti a giudicare secondo la legge e in nome del popolo italiano, si sono arrogati il diritto di porsi al di sopra della legge stessa tanto da far sì che essa non sia, come si dice, uguale per tutti.
Faccio una premessa fondamentale: sto scrivendo un articolo di analisi e critica, non sto dicendo male di nessuno o di qualcosa. E nell’analisi che segue mi pongo una serie di domande: è diritto o no del cittadino porre, e porsi, degli interrogativi e di criticare? O l’unico suo diritto è quello di dover dire sempre e comunque signorsì?
E la prima delle domande che mi pongo – e che pongo indistintamente a tutti – è questa: i nostri giudici, che se ne stanno lassù e solo di rado scendono e camminano per le vie di questa terra, ce le hanno davvero le competenze per poter decidere, a ragion veduta, su ciò che fanno e vogliono comunque imporci?
Me lo chiedo perché credo di essere diventato, a questo punto, un vero esperto di capi di imputazione in quell’immensa confusione che si chiama giustizia penale: all’interno della quale, quando sento rammentare la “conclusione delle indagini” mi si rizzano anche i capelli che non ho.
Spesso si arriva al semplice copia-incolla
Infatti, andando a vedere fino in fondo, mi chiedo – e a buon diritto – cosa significhi il termine «indagini» per alcuni PM che, con solare evidenza, danno a vedere che, a loro giudizio, esse sono il sinonimo del semplice copia-incolla di frasi estrapolate (senza alcuna verifica e spesso senza senso) dalla massa assurda delle querele di cui certi sociopatici di professione, spesso con gravi problemi mentali, inondano le stanze del terzo piano del palazzo di giustizia di Pistoia.
Chiarisco e critico. Non sarebbe un dovere – prima di dare credito alle affermazioni di chi piange e si difende, solo tentando di fiaccarci con stupidaggini di ogni sorta – verificare puntualmente tutto ciò che i veri giornalisti, come noi, scrivono; e muoversi in maniera ragionata e opportuna, con vere indagini scrupolose, anziché asciugare le lacrime di insopportabili mariuoli, il cui unico scopo è quello di estorcere quattrini e solo perché abbiamo il torto di metterli a nudo dinanzi a tutti?
Nella maggior parte dei casi, «conclusione della indagini» significa copia-incolla. Ho visto perfino PM che hanno mandato all’archivio (lèggasi: cestino) false testimonianze documentali e documentate, solo perché alcuni uomini della polizia giudiziaria hanno riferito che «sì, Tizio ha detto così, ma in realtà intendeva dire cosà…». Secondo voi questa è giustizia credibile?
Altre volte il PM, non sapendo decidersi e/o non volendo farlo, ha dato l’idea di aver rinviato a giudizio per levarsi dai piedi l’imputato e con una nobile motivazione: «Che se la veda un altro con questa faccenda…». Altre ancora, leggendo quello che scrivono certi PM, non si possono aver dubbi sul fatto che: o non hanno letto niente o non hanno sufficienti capacità tecnico-intellettive per giungere a comprendere i contenuti. O non distinguono fra cosa certa e supposizione, fra cronaca e critica, fra libertà di espressione e libertà di pura e semplice offesa.
In certi casi ho avuto, più che l’impressione, la certezza che il cittadino, di cui all’art. 21 della Costituzione, abbia il solo diritto di dire sempre e comunque sì a chi il potere lo esercita perché si sente al di sopra della legge. Mi dispiace, ma le cose non funzionano così.
Nessuno dei nostri nonni e poi dei nostri padri ha fatto anni e anni di guerra, o è morto in guerra, perché dovessimo giungere a vedere applicata la Costituzione del Marchese Del Grillo. L’Italia non rinacque per questo: o almeno io la vedo così.
La Costituzione del Marchese del Grillo: «Io so’ io…»
Non siamo noi, giornalisti d’inchiesta, a dover spiegare e giustificare al magistrato (a nessun magistrato) ciò che diciamo o scriviamo: ma è certamente dovere del magistrato che ci inquisisce, svolgere indagini che non si limitino al semplice copia-incolla.
Perciò sono gli altri che devono – e dovranno sempre – spiegare molte cose a noi, per poter giungere in aula ed essere giustamente autorizzati a pronunciare quel famoso «In nome del popolo italiano…»; il popolo che siamo noi, non loro solo perché (e spesso non si sa se per fortuna o per altro) hanno passato e vinto un concorso-random da giudice.
Cosa dovrò aspettarmi ora? Di essere arrestato per avere espresso un’opinione, un giudizio, una critica, una battuta di spirito o di aver tracciato uno schizzo della realtà in chiave di satira?
Bene. Se così fosse, ciò potrà significare solo una cosa: che il vero resistente, il vero partigiano, il vero Bella ciao, il vero Pertini sono io e non certo tutti questi vassalli e strenui difensori della menzogna istituzionale, magari iscritti anche all’Anpi.
Ricorda, Mazzanti, che le strade devono essere riaperte tutte. E con tutte le loro perinenze
Tutto ciò che abbiamo scritto e detto fino da quando abbiamo cominciato a scrivere nel 1967, non solo è tutto vero, ma è tutto confermato da decenni di storia e di cronaca.
Le ultime inchieste – sui Comuni della Piana, su Betti & C., su Benesperi & C., su Mazzanti & C. – sono vere e documentate.
E tutto quello che abbiamo scritto su “cittadini favoriti” e “cittadini discriminati a Quarrata” non solo è reale, ma è documentalmente provabile.
Ricordate solo che «Alle terme di Caracalla tutti i cadaveri vengono a galla».
Buona festa serale dell’Immacolata, in cui nessuno crede a partire dai praticanti e fino al magico Bergoglio.
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2 thoughts on “la legge degli infallibili. CITTADINI PRIGIONIERI DELLA FALSA GIUSTIZIA, DELLA BUROCRAZIA E DI UNA INARRESTABILE CORRUZIONE”
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