
PISTOIA. Probabilmente se non fosse stato per una segnalazione di protesta verso il Consorzio Ombrone (vedi) la Goricina di Candeglia sarebbe rimasta nell’oblio.
Anticamente era nota come Gora della Bure di Santo Moro e, successivamente, Gora dei Molini. Già, i mulini: nell’Archivio di Stato di Pistoia (ASPt), in Statuti e Provvisioni, è documentata la tassazione dei 258 mulini presenti nel territorio pistoiese nell’anno 1350, 57 dei quali dentro la cerchia muraria o nei vicini paraggi.

Esiste al riguardo un interessante saggio di John Muendel (vedi), professore della University of Wisconsin Madison, intitolato The grain mills at Pistoia in 1350, pubblicato nel Bullettino Storico Pistoiese della Società Pistoiese di storia Patria del 1972, in un periodo quindi in cui l’ente era guidato da un gruppo di studiosi che, diversamente da ora, con autorevolezza e credibilità contribuiva a far progredire gli studi storici e la cultura locale, non senza che tali energie si traducessero in operazioni concrete di tutela e reale valorizzazione del patrimonio locale.

Mill appunto nel significato di mulino, anche se può indifferentemente tradurre il concetto di fabbrica, visto che agli albori dell’industria le macchine operanti nei vari opifici erano mosse, al pari dei mulini, dalla ruota idraulica. E a Pistoia, come detto altre volte, le riforme leopoldine determinarono, tra le varie innovazioni, anche la riconversione di mulini e frantoi cittadini, serviti da bottacci per l’accumulo della forza motrice – pensiamo solo a via del Bottaccio e a sdrucciolo del Bottaccio, non più segnato, che da via Santa scende in via degli Orti – nelle prime manifatture protoindustriali, ferro e gualchiere.

Si legge nella Relazione (sulle gore pistoiesi – n.d.r.) del Consigliere Guasti del 1835, a proposito della Gora di Candeglia: «Entra in città pel Ponte Canale esistente sul fianco sinistro del Ponte della Brana immediatamente al di fuori della Porta San Marco, e passando presso la porta medesima, e al di sotto dell’annesso piazzale interno scorre lungo gli antichi orti dei monaci Vallombrosani di Forcole, lasciandosi a destra le case che scorrono lungo la Strada della Porta San Marco, alcune delle quali hanno il benefizio di un lavatoio sulla medesima gora, senza peraltro deviare le acque. Di poi continua fra gli orti anticamente attinenti ai padri Serviti, che si lascia a sinistra e l’orto aperto di San Bartolomeo, che gli rimane a destra, e sbocca nelle gore di Scornio, e di Gora, dopoché le loro acque riunite han servito al Mulino Rovai. Prima per altro riceve i trabocchi della gora di Scornio di cui si è superiormente parlato. Niuno edifizio esiste sul corso di quell’acque in città, né son messe a profitto per alcun uso pubblico. Principalmente introdotte in essa a benefizio degli orti dei Vallombrosani di Forcole, gli avanzi delle loro irrigazioni sono state cedute agl’inferiori orti dei Padri Serviti, e la presa dell’acque a quest’oggetto ha luogo all’ingresso della gora nei primi orti soprindicati dove si reparte il benefizio delle terre, che ne sono suscettibili facendola scorrere per artificiali condotti».

Attraversava dunque la Brana presso la porta San Marco tramite l’ormai leggendario Ponte Canale e passava di fronte a quello che, fino all’unificazione delle cortine alla comunità civica, fu il palazzo del Comune di San Marco. Attraversava anche quello che poi sarà l’ex vivaio Nerozzi e, scorrendo le immagini del corso di questa gora, si ha davvero una realistica percezione del paesaggio rurale che ha caratterizzato e plasmato la città degli orti. Se non fosse stato per l’abominevole lottizzazione di via del Pelago, si avrebbe sostanzialmente ancora uno spaccato di campagna racchiuso nelle mura.
Dopo l’attuale via degli Argonauti la gora esiste ancora e, per un tratto scoperta, funge da collettore di acque miste fognarie prima di gettarsi nelle Gore di Scornio e di Gora riunite, precisamente nel punto in cui l’area Pupilli (dove a breve sarà attivo un parcheggio di superficie lievemente rialzato) confina con il retro delle case di via dei Giardini e via Malpighi.

Sulla sua destra si estende il giardino di Mario Carnicelli, che in passato ospitava il vivaio Fedi e da cui si ammira la poetica visione del campanile di San Bartolomeo. Una rappresentazione dello scenario è costituito dall’acquaforte del Chiappelli, collezione Lucarelli, inserita nella copertina della pubblicazione Pistoia. L’anima del luogo, della Fondazione Banca di Pistoia e Vignole-Montagna, presentata lo scorso dicembre come premessa all’esposizione di quadri dei pittori pistoiesi A 100 anni dalla mostra “Bianco e Nero” nelle sale affrescate del palazzo comunale. Sulla sinistra idrografica merita di essere ricordata una specie arborea molto rara dalle nostre parti, il cipresso calvo o di palude, che si trova nel giardino della famiglia Vivarelli e che presenta delle radici aeree, che cioè spuntano fuori dal terreno (vedi foto).
Le gore/fogne riunite procedono quindi verso l’Arcadia, seguendo un trabocco che si getta nella Brana presso il cosiddetto tonfano del Lavarini, all’inizio di via Fermi, su cui già ci siamo soffermati (vedi).
Vedi anche: Le gore di Pistoia. Parte prima
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