
PISTOIA. Da un lato la sfida, comune a tanti capoluoghi di provincia, che Pistoia dovrebbe cogliere è quella di dar seguito agli Urban Pro, definibili come contratti di valorizzazione urbana previsti e finanziati (per due miliardi di euro) da timide politiche di rigenerazione urbana nazionali e sottoscritti da una lunga serie di soggetti pubblici (enti locali, ministeri) con associazioni professionali e di categoria (Unioncamere, Confcommercio, Associazione nazionale Costruttori Edili e Consiglio nazionale architetti).
Gli Urban Pro racchiudono la possibilità di introdurre elementi di smart city nei servizi a rete e in generale forti elementi di innovazione nelle modalità dell’abitare: ripetiamo, a Pistoia ci sarebbero le condizioni per sfruttarli e sarebbe il caso che la politica si muovesse a trarre le conclusioni.
Dall’altro lato il variegato patrimonio di contenitori specialistici e più o meno monumentali, senza più una ben precisa funzione e meritevoli di un’analisi a parte, più dettagliata, fuori dalle ordinarie riqualificazioni o pianificazioni. Una riflessione quindi da legare ad una politica culturale più generale e ampia, magari non relegata nella timida dimensione locale.
Dopo tre ex complessi monastici, per la precisione San Giorgio e San Bernardino, San Lorenzo e SS. Annunziata, tutti e tre con differenti situazioni, prendiamo il caso di due palazzi: il palazzo ex Enpas in Via dei Pappagalli e il nobilissimo palazzo Amati Cellesi (più noto semplicemente come palazzo Amati) di piazza Garibaldi.
Il palazzo Amati è preziosamente descritto e raccontato nei due volumi Settecento Illustre, la già citata bibbia a più voci del neoclassico pistoiese, e Palazzi pistoiesi di Nori Andreini Galli, dove i gioielli di famiglia sono presentati sia con schede tecniche che con narrazioni romanzate dell’umanità pistoiese legata ai luoghi della rassegna.

A metà dell’800 l’ultimo erede della famiglia, Tommaso Amati, nominò come erede Giulio Cellesi con l’obbligo di assumere il doppio cognome, Amati Cellesi, che dette anche il nome a quella che oggi chiamiamo via Panciatichi.
Agli inizi del 900 al nonno di Alessandro Vannucci, Costantino Vannucci, venne offerto l’acquisto del palazzo Amati, realizzato negli anni Venti del 700 (vedi), che curiosamente rifiutò perché – ebbe a dire testualmente – “rimane fuori Pistoia”. A dir la verità in antico la seconda cerchia muraria del XII secolo correva proprio sull’area del palazzo ed un fossato antemurale occupava lo spazio dell’odierno corso Gramsci, per molto tempo lo spianato, proprio perché venne ricoperto con le macerie delle mura abbattute. La chiesa e gli spazi dell’ordine monastico dei Domenicani erano stati il primo nucleo urbanizzato oltre le mura e un’apposita postierla era stata realizzata per permettere il collegamento con la città.
Il palazzo Amati Cellesi, sede provvisoria a metà 800 del Tribunale durante i lavori di ampliamento del palazzo Pretorio di piazza del Duomo, è passato alla Banca Toscana e attualmente appartiene al Gruppo Immobiliare del Monte dei Paschi di Siena che, come recitano le locandine visibili dalle vetrate del piano terra, lo offre in vendita o in locazione. Nel marzo 2010, in occasione della diciottesima giornata del Fai, grazie all’impegno della delegazione di Prato e Pistoia, ha aperto le porte alla città rivelando tutto il proprio prestigio.
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