Ecco i documenti che mostrano la manipolazione nella relazione usata dalla pubblica accusa contro il nostro giornale per sostenere la persecuzione nei confronti del fu comandante Nesti. Domanda: se le indagini si fanno così, l’unica giustizia che ci possiamo aspettare è quella… dell’altro mondo?
Una realtà non a misura d’uomo, ma dei difetti umani
A CHI È REALMENTE IN MANO LA GIUSTIZIA
AI MAGISTRATI O ALLA POLIZIA GIUDIZIARIA?
Dopo il processo politico del tribunale di Pistoia contro Linea Libera, in attesa di conoscere le motivazioni della sentenza che avvalori la persecuzione giornalistica (povero Berlusca, quanto gli ha rotto i coglioni Marco Travaglio!), si può iniziare a parlare di persecuzione e stalking giudiziario da parte di una procura che si è inventata di tutto e di più per inibire, con un uso, a nostro parere, violento delle norme, le libertà garantite dall’art. 21 della Costituzione?
Per l’ipotesi dello stalking giornalistico – fantasiosa e strumentale soluzione adottata dall’accusa e recepita acriticamente del giudice – dobbiamo ancora vedere, infatti, come ciò sia potuto avvenire, se si considera che quelle che dovrebbero essere state le nostre “povere vittime”, non sono mai state costrette in nessun modo a leggerrsi per forza il nostro giornale.
Una delle parti che si sono ritenute offese, oggi chiede un risarcimento a noi giornalisti anche per la decisione adottata dal Consiglio di Stato nel 2014: si parla del fu comandante Andrea Alessandro Nesti, più che noto agli uffici della procura per avervi lavorato come PM in aula per ben tre anni.
Evidentemente l’incompatibilità ambientale a Pistoia non rileva un baffo e non conta una lira; anzi è regola costantemente ignorata di sana pianta, come mostrato dai sostituti Claudio Curreli e Giuseppe Grieco.

Il primo, infatti – come ho più volte scritto nell’assoluto silenzio di tutti – è sostituto PM, ma coordina i flussi dei clandestini a Pistoia (cioè: rispetta le leggi della repubblica, ma le trasgredisce favorendo la clandestinità); poi opera nello stesso tribunale in cui lavora anche sua moglie – giudice delle esecuzioni – con disinvolta noncuranza delle regole dell’anticorruzione e della trasparenza.
Evidentemente o il tribunale di Pistoia è la famosa «terra cacecorum» (o clinica per ciechi) oppure vi regna il principio dell’arrosto che non ti tocca lascia che bruci. Solo che l’arrosto lasciato bruciare è carne del popolo, non di don Biancalani e di Vicofaro o di certe famiglie di magistrati… Sempre – ovviamente – a nostro parere.
Il Nesti, per lagnarsi, si è avvalso del sostegno dei carabinieri della polizia giudiziaria (a lui non estranea) della procura; e la sua lagna[nza] è stata sostenuta in aula da un suo ex collega, il sostituto Giuseppe Grieco, in funzione a Pistoia dal 2002 e che quindi lo conosceva ab illo tempore. Se vi sembrano situazioni compatibili con il rispetto delle norme e delle regole, allora vuol dire che la terzietà e l’imparzialità dei magistrati possono essere tranquillamente mandate a spasso.
Da parte della polizia giudiziaria le indagini dei carabinieri Placido e Roberto Panarello sono state svolte ma solo sulle carte sbagliate: carte che però hanno funzionato alla perfezione a sostegno della pubblica accusa che sembrava non aspettare altro per dimostrare una tèsi errata.
I due militi hanno infatti evitato di ascoltare gli indagati sui fatti al fine di chiarire davvero la sequela dei 68 articoli formanti il corpo della querela nestiana: una attività – il dovere di ascoltare gli indagati – imprescindibile per comprendere la complessità della vicenda regolamento associato di polizia municipale. Ma evidentemente in procura a Pistoia queste cose non interessano affatto: e la ricerca della verità è, non di rado, superata dalla voontà di avvalorare la tesi, tantopiù – si direbbe in termini di ironico sarcasmo – se la tesi è “più falsa di Giuda”.
Chiaramente i luogotenenti Panarello non hanno mai “alzato il telefono” per chiedere ai colleghi carabinieri di Agliana o alla segretaria generale semorata (la Donatella D’amico) se gli argomenti oggetto dell’inchiesta giornalistica avevano una qualche fondatezza e necessità di critica.
Emblematico, in questo modo di indagare “a corpo e non a misura”, è il caso del viadotto mai messo in sicurezza dall’ottimo comandante Nesti, come lo definì l’assessore Rino Fragai su La Nazione del 20 febbraio 2015). Anche in quel caso i due militi si limitarono a fare i dermatologi della verità, fermandosi alla pelle; non i chirurghi pronti a sviscerare i vari problemi. Ma così facendo, a nostro parere (detto per la procura), si fanno indagini o gitarelle furoi-porta con e per gli amici?
Altro argomento per i due sottufficiali di Pg (bisognosi – a nostro parere – di un corso di filologia applicata agli atti della pubblica amministrazione) è stato, appunto, il regolamento di Servizio associato di polizia municipale dei Comuni di Agliana e Montale. Un argomento bollente, che ha visto un iter consultivo di oltre 8 mesi, con una dozzina di riunioni, commissioni e consigli comunali, anche ricevendo il parere negativo dell’allora assessore regionale Vittorio Bugli, ma che i due presenteranno, rovesciandone la prospettiva, come valido e positivo: peccato che per esso i Comuni del Mont-Ana hanno bocciato il comma 3 dell’articolo 8 del Regolamento associato, in quanto improponibilie e viziato. Del che, però, niente si dice…
La nostra inchiesta aveva dimostrato l’illegittimità del primitivo articolo 8 che infatti venne modificato sostanzialmente. Ma di questo niente dissero i carabinieri perché – a nostro parere, ma anche in realtà – non svolsero le indagini come avrebbero dovuto, con le necessarie diligenza e cura. E soprattutto senza niente tacere.
Oggetto delle valutazioni sul testo del comma 3 dell’articolo 8, discusso dai due Comuni, oltre ai Sindacati (Uil Fp, Cisl Fp, Dicap FP, tutti contrari e con solo – guarda caso – la Cgil Fp favorevole) e la maggioranza dei dipendenti dei due comandi di polizia locale, sul quale anche la segretaria D’Amico chiese un oneroso parere dello studio Lessona di Firenze.
L’articolo venne poi emendato e riveduto (togliendo i capoversi a e b), eliminando la parte del comma 3 che è stata riconosciuta antisindacale, anticostituzionale e illegittima dal momento che permetteva anche a semplici agenti di categoria C (facciamo un nome a caso? Nesti, per esempio?) di avere un qualifica meritocratica di pari funzione al superiore livello “D”.
La decisione meritocratica a chi sarebbe spettata? Chi era il vescovo che poteva ordinare un altro vescovo, insomma? La comandante Paola Nanni, che aveva scritto l’articolo 8 a 4 mani con Nesti stesso.
Quel particolare – se fosse passato – avrebbe permesso al dottor Andrea Alessandro Nesti (all’epoca demansionato, ma sempre agente di polizia municipale) di poter saltare di nuovo in sella al comando di Agliana.

In tutta questa vicenda ci sono troppe cose che non tornano anche aldilà delle evidenti incompatibilità ambientali delle persone che vi ruotano attorno e dentro. Bel pasticciao!
E il sostituto Claudio Curreli non si è accorto di queste evidentissime incongruenze? E se non se ne è accorto, anche solo per sbaglio o negligenza, un cittadino di Pistoia come può sentirsi tranquillo dinanzi a insindacabili magistrati che mostrano di non avere perfetta contezza di ciò che sta scritto nelle carte?
Edaordo Bianchini
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