«Però – scrive il consigliere che appoggia il potere, riguardo al mio intervento di ieri – per l’argomento non mi sembra centrato perché l’indignazione è nei confronti di quelle persone incivili che imbrattano i muri degli immobili pubblici. Hai usato questo argomento per riportare a galla i tuoi dissapori per i quali mi spiace non potere fare nulla»
Satira? Charlie Hebdo? A Quarratopoli basta e avanza il con[s]iglio comunale
SON CONSIGLIERE E CRITICO L’IMBRATTO
MA IN VITA MIA L’AVRÒ MAI LETTO UN ATTO?

Se a tutti i poeti manca un verso, ai politici-amministratori, a volte, ne mancano anche due o tre (mila). E tutti insieme.
Marino Michelozzi, figlio di Luciano, personalmente l’ho visto crescere nei 20 e più anni in cui suo padre fu il mio fotografo per La Nazione e Il Messaggero, i giornali su cui scrissi in gioventù.
È per questo che posso permettermi, sotto il profilo della confidenza, di prenderlo non solo a pizzicotti, ma anche – come un frequentatore assiduo e amico della sua famiglia – a calci nel sedere.
Anche lui, come gran parte della gente di oggi, pensa che vivere significhi saltare di palo in frasca tra un compartimento stagno e un altro: altra cosa è, per lui, l’assessore abusivista Simone Niccolai; altra cosa il ragionier non-dottor Romolo Perrozzi, favorito dal Comune di Quarrata; altra è il Mazzanti, altra infine il suo schiavetto neosindaco Romiti[no]. Insomma altra cosa è… e via via, giù giù fino in fondo.
Il relativismo morale della scuola comunistica del dopo don Lorenzo Milani (di cui mi pare di ricordare che Marino Michelozzi sia un estimatore, ma se non è così mi scuso) ha creato una realtà mentale teratòdica (leggete qui e vi orienterete sul significato del termine) nella quale sguazzano, in una specie di brodo primordiale (sto citando Italo Calvino), tutti i pezzi di ciccia coi quali i pistoiesi fanno il famoso (e farlocco) carcerato, da dare a intendere ai bischeri che visitano Pistoia.
Questi pezzi di frattaglie al paiolo rappresentano, in metafora, la varia umanità che naviga nell’indistinto dell’oggi. E a galla perché, con il cervello che ha, diviso in compartimenti stagni, non possono non galleggiare come le anguilline provenienti dai Sargassi.
Fra coloro che dividono il mondo in settori separati l’uno dall’altro, metto anche più di un magistrato della eccellentissima procura nostrale, all’interno della quale c’è chi non distingue fra fornitore e contribuente; chi fa togliere la figlia di un vigile da una scuola d’infanzia, perché è più giusto che in quella scuola lì ci vada la sua, di figlie, in quanto sangue blu di magistrato; chi può permettersi di far proseguire la sua nobil razza con un’inseminazione frutto della genetica di ascendenza frankensteiniana.
Proseguo. C’è chi si alza al mattino e fa il sostituto di Coletta, ma lavora con la moglie nello stesso tribunale e nelle stesse materie, continuando a beneficare l’umanità con l’opera di capo-scout, con il favoreggiamento dei clandestini e con la salvezza delle prostitute sulle rotonde di Agliana a notte, quasi con un Ascolta, si fa sera degno di padre Virginio Rotondi.
Sempre sotto la supervisione (tachipirina e vigile attesa) di un procuratore reso noto dalle cronache italiane per aver – così si dice – perseguitato un finanziere che non doveva dare fastidio alla dottoressa Lucia Turco, sorella del procuratore aggiunto di Firenze, Luca Turco, e cugina – per eccesso di specificazione alla Primo Levi – di Cecilia Turco, avvocata che, con la storia dei pizzini, fece sì che Andrea Alessandro Nesti fosse rimbussolato ben bene dal Tar della Toscana e perdesse il posto – che peraltro non gli spettava: così sia secondo il Tar-Toscana che il Consiglio di Stato – di comandante dei vigili di Agliana, gradito a Pd e procura.
Un altro sostituto, infine, primeggia per aver chiesto e ottenuto, da Claudio Curreli (my main stalker) di usare i miei strumenti informatici (illecitamente sequestrati, ma comunque trattenuti sotto sequestro non probatorio) per farci le proprie ricerche e gli affari suoi.

Caro Marino Michelozzi, cari magistrati, care forze dell’ordine, cari tutti (e tutti più o meno accomunati da un filo-democratismo che è quello che ammette – vedi Cirinnà & C. – pure la pedofilia, la devianza come espressione di libertà, e la libertà dell’inculismo senza limiti: Bibbiano, Il Forteto etc. ): la realtà non va pezzo per pezzo, va a pezzi interconnessi e interdipendenti.
Il fatto che in una linea ci siano relais, interruttori, fusibili e salva-vita che staccano la corrente, non significa che al mattino si può essere santi, a mezzogiorno uomini e la sera delle merde sfrenate e senza coscienza.
L’errore è tuo – e dei tuoi furon-compagni, oggi quasi mangia-ostie incalliti – quando affermi (cosa che non ti fa punto onore): Hai usato questo argomento per riportare a galla i tuoi dissapori per i quali mi spiace non potere fare nulla.

La vita è un unicum, diceva anche Umberto Eco, che non era proprio un coglione. Classificando le mie vicende (vicende di me cittadino, non di me persona: come hanno voluto far credere anche i signori magistrati terzi e imparziali un corno!) come dissapori, dài la misura della tua incapacità di valutare e la tendenza – com’è regola per i democratici – a trasformare una questione di diritto e di diritti in una questione puramente personale. Questo vi riesce alla perfezione.
Ecco cosa significa, allora, l’espressione pìtori d’autore. Il significato può esserti chiarito da un pesciatino doc come il sindaco Oreste Giurlani. La traduzione pulita, italica, politicamente corretta anche per i teorici della Crusca, è il pistoiese (un po’ siculo) minchione. È chiaro?
Pìtori d’autore perché vedere che delle «autorità costituite» della Gip Patrizia Martucci non ce n’è neppure una che capisce pienamente la realtà, è gran cosa, cosa stupenda come un’apparizione di Lourdes, dopo 80 anni di Costituzione letteralmente sfanculata.
Anche tu, caro Marino, con i tuoi colleghi di con[s]iglio, fai parte della schiera. E hai concluso con una mirabile affermazione: dici di non poter fare niente per me e i miei dissapori. E te ne duoli. Chétati, perché è evidente che non te ne frega una beata minchia!
Come volevasi dimostrare, sedete tutti sui banchi del con[s]iglio solo per parlare dei massimi sistemi, delle guerre e dei fascisti – di cui siete la summa dell’intelligenza –, ma in realtà altro non fate che grattarvi silenziosamente i coglioni, cosa che non si vede solo perché i banchi di Quarrata sono coperti: ovviamente per… privacy.

Una cosa la potreste fare, invece. E tutti quanti. Dalla procura in giù. Il tutto in nome e per conto della rimozione dell’illegalità imperante negli uffici e della riaffermazione della correttezza e della trasparenza come dio comanda.
Potreste studiare – come ho fatto io – la legge nazionale (la n. 126/1958) che riguarda i cosiddetti miei, secondo te, dissapori; i regolamenti urbanistico-edilizi in vigore da sempre a Quarrata (che ignorate tutti); un po’, appena appena, di giurisprudenza amministrativa sulle strade interpoderali-vicinali; rivedere i documenti falsi (sottolineo: falsi), che ripubblico per te e tutti voi; smetterla di far politica a cazzo di cane e fare, terra terra, le persone serie. Tutta roba che non volete affatto affrontare perché vi è scomoda.
Forse anche perché a palazzo, a cominciare dagli ultimi due sindaci (Mazzanti e Romiti[no]) non sapete, come pare sia anche in procura e in tribunale a Pistoia, né scrivere né leggere né fare di conto.
Stavolta ho argomentato bene, Marino?
Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.info]
«AUTORITÀ COSTITUITE»
E «GENTE COMUNE» DI COLETTA

Quanti con[s]igli comunali avrò seguito in 55 anni di informazione? Quanti ne avrò sentiti parlare, di con[s]iglieri?
Costoro vanno e vengono, alzano la mano e votano: ma sono solo mosche bianche quelli che si leggono davvero i documenti, di cui si parla, fino all’ultima riga.
Non diversamente i magistrati, che hanno a noia la fatica di seguire i discorsi degli altri: non avessero mai d’aver ragione! La Cassazione, poi – se non sbaglio –, fissò pure la lunghezza dei ricorsi per evitare il tedio di lavorare.
Così, non di rado, quasi tutta la pubblica amministrazione fa finta di aver letto: ma non ha mai, o quasi, la più pallida idea di ciò che viene discusso e di cui si parla.
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