QUANDO “PIEDONE” SCALÒ L’ABETONE. STORIA DELLA POLE POSITION PIÙ FAMOSA DELLA F1

ABETONE – NAZARETH(USA). Mario Andretti ha compiuto, il 28 febbraio scorso, 80 anni, vissuti per lo più girando e vincendo sulle piste di mezzo il mondo.

Nato a Montona nel 1940 quando la cittadina era italiana, si trasferì, per le vicende legate all’esodo istriano, prima a Lucca e poi, a metà degli anni ‘50, a Nazareth in Pennsylvania negli Stati Uniti d’America.

Il forte pilota automobilistico italo-americano, Campione del Mondo di Formula 1 nel 1978 con la rivoluzionaria e avveniristica Lotus ‘79, prima vettura ad effetto suolo, della leggendaria 500 Miglia di Indianapolis e del relativo campionato nel 1969, della massacrante 24 di Le Mans nel 1995, della impossibile Pikes Peak, corsa in salita di 20 km e di un’altra infinità di corse, fu protagonista e autore della pole position più famosa della storia della Formula 1, cui contribuì l’aria fine, salutare e antistress dell’Abetone.

IL 1982 DELLA FERRARI

Gilles Villeneuve, Didier Pironi, Mario Andretti e Patrick Tambay

Siamo nel 1982, per gli azzurri della nazionale di calcio fu un anno da incorniciare, per quelli della nazionale rossa fu un anno maledetto, segnato da incidenti tragici.

La 126 C2, la seconda auto a motore turbo della Ferrari da oltre 700 cavalli, aveva dimostrato fin da subito un enorme potenziale e il titolo mondiale sarebbe stata una questione interna tra i due piloti del Cavallino.

Ma la sorte avversa si accanì con pervicacia crudeltà privando la Casa modenese di un titolo meritato. Prima l’incidente che costò la vita a Gilles Villeneuve l’8 maggio 1982 al Gp del Belgio poi, a quattro gare dal termine, quello che costò il titolo e la carriera in F1 al francese Didier Pironi durante le prove del Gp di Germania dell’8 agosto.

A questi si aggiunsero i problemi fisici di Patrick Tambay. Il sostituto del compianto Gilles fu costretto a saltare, quando era in lotta per il titolo, il Gp di Svizzera corso in terra francese sul circuito di Digione, dove la Ferrari non schierò nessuna auto.

“Il Campionato del mondo – sentenziò Ferrari – l’avremmo vinto tre volte”1.

Con Tambay fuori dai giochi mondiali e l’imminente Gp d’Italia che si sarebbe corso da lì a due domeniche, il morale era a terra.

ARRIVA MARIO ANDRETTI

La copertina di Autosprint per la vigilia del Gp d’Italia

Per rivitalizzare l’ambiente Ferrari chiamò alla sua corte, proprio lui, Mario Andretti, che già aveva corso per il “Cavallino” nel 1971 e 72, un pilota e uomo stimato e tenuto da sempre in grande considerazione.

Il contatto avvenne giovedì 2 settembre. Enzo Ferrari telefonò ad Andretti al quale offrì il sedile della Ferrari 126 C2 per correre il Gp di Monza. La risposta fu un sì incondizionato ed entusiasta.

Tempo di fare le valige e prenotare l’aereo per l’Italia e il giorno successivo, Andretti era già in volo sopra l’Atlantico.

La notizia intanto aveva già contagiato l’intero paese a quatto ruote e l’attesa per rivedere “Piedone”, così era soprannominato il pilota italo-americano, nuovamente alla guida di una Ferrari era alle stelle.

Sarebbe stato un ritorno, un grande ritorno, ma nessuno poteva immaginare quanto grande.

La misura si ebbe già all’arrivo all’aeroporto di Malpensa dove ad attenderlo c’era, oltre ad una Ferrari 400 automatica mandata appositamente a prenderlo, anche “una enorme agitazione: fotografi, cineoperatori, giornalisti.” Sembravano tutti letteralmente impazziti. Una turista americana in partenza azzardò timidamente: «ma chi arriva: un capo di stato»2; di più, signora, molto di più. Impossibile spiegare la situazione.

Le prime dichiarazioni a caldo appena sbarcato furono entusiastiche più da tifoso che da pilota: “Sono soddisfatto! – esclamò – Non avrei mai pensato di tornare alla F1 e con una Ferrari, specie adesso che ha dimostrato di essere la macchina migliore”3. Gli venne chiesto se pensava di vincere a Monza: “Perché no! Sarebbe fantastico, per me, per il commendatore, per tutto il pubblico”.

L’ENTUSIASMO ALLE STELLE

Andretti impegnato a Fiorano

Arrivati a Maranello poco prima delle 13, fu l’apoteosi. Già di primo mattino, gruppi di appassionati più o meno giovani arrivati da molte parti d’Italia, stazionavano davanti al cancello di entrata della Ferrari.

Centinaia se non addirittura migliaia di persone erano in attesa di vedere Mario. Sì Mario, a sottolineare le sue origini italiane. Un italiano e non un italo-americano che tante polemiche e disquisizioni sul termine e la sua origine aveva alimentato ai tempi della Lotus.

Ora, con il passaporto “Ferrari”, era solo ed esclusivamente italiano e avrebbe impugnato nuovamente il volante che fu di Ascari, il pilota, che Mario, vide correre da ragazzino proprio a Monza nel lontano 1954.

Sulla Ferrari dopo quasi 10 anni di attesa si sarebbe seduto nuovamente un italiano. L’ultimo, prima di lui, a guidare una “Rossa” fu Arturo Merzario nel ‘73.

Durante il veloce pranzo consumato a Fiorano a base di tagliatelle emiliane gli fu chiesto: “Mario quando vuoi provare, domani?”. La risposta fu da par suo: “No, dopo mangiato”4.

Attese pazientemente per tre ore la preparazione del sedile e dell’auto. E come e per lui, attese anche il numeroso pubblico, assiepato da ore dietro le reti del piccolo circuito, per vederlo all’opera e per poter dire “io c’ero”.

Intorno alle 19, quando le ombre già iniziavano ad allungarsi, si levò dai box il “ruggito” del 6 cilindri turbo compresso, cui fece eco il boato della gente impaziente di assistere alla venuta dell’uomo di Nazareth5.

Pochi giri, fatti forse più per curiosità e passione che per necessità, solo il tempo necessario per saggiare la “bestia” e riprende confidenza con una F1, dopo la fugace apparizione al Gp Usa-Ovest corso al Long Beach il 4 aprile, al volante della Williams Fw07 Ford-Cosworth.

Il feeling e gli automatismi furono presto ritrovati e i tempi iniziarono a scendere rapidamente.

Giri su giri furono macinati nei giorni successivi e i km percorsi risulteranno alla fine delle prove più di 7006,con tempi vicinissimi al record della pista.

La 126 C2 era perfetta, tanto che rifiutò di testare nuove soluzioni: “Con una macchina così – commentò – c’è solo da spingere, senza fare cambiamenti”7.

Ancora qualche giorno e si sarebbe fatto sul serio con le prove del più atteso Grand Prix quello d’Italia sul leggendario circuito di Monza tempio della velocità passata e moderna, dove un piazzamento vale una carriera.

DALL’ABETONE ALLA “POLE” DI MONZA

Il titolo di Rombo per l’incredibile pole position di Mario

Il “campione dei due mondi” a 42 anni non aveva più niente da dimostrare né in termini di velocità né di risultati conseguiti, ma corre per la Ferrari in Italia a Monza, con tutta l’attenzione che in pochi giorni aveva suscitato la sua improvvisa chiamata, comportava delle inevitabili responsabilità verso quel popolo caloroso che lo aveva accolto con tanto affetto ed entusiasmo.

Con Monza poi aveva un conto aperto dal ‘78, l’anno del titolo mondiale, quando venne penalizzato insieme a Gilles Villeneuve di un minuto per partenza anticipata e privato della vittoria conquistata sul campo.

In cuor suo nutriva sicuramente la speranza di saldare quel conto rimasto in sospeso ed aggiungere al suo palmares la vittoria persa a tavolino quattro anni prima.

Doveva però allentare la tensione, smaltire le giornate degli intensi test svolti in pista, doveva staccare la spina e ricaricare le batterie per presentarsi al meglio e non mancare l’appuntamento con la pista brianzola e la storia.

Cosa di meglio quindi per un pilota professionista se non inforcare la sella di una moto, caricarsi una “bionda” dietro e percorre senza il ticchettio incessante del cronometro strade senza fine gustando il paesaggio?

Anche questo è Mario. Per niente pago dei tanti chilometri macinati girando in tondo nella pista di Fiorano, si fece prestare dal suo amico Alejando de Tommaso una Moto Guzzi Le Mans8 e con la sua compagna di sempre la signora Anna, venuta anche lei in Italia per seguire le gesta del marito, partirono, on the road per la Statale 12 dell’Abetone e del Brennero.

La coppia, calate le visiere dei caschi iniziò così a percorrere, con la spensieratezza e leggerezza di due giovani i 70 km che da Maranello portano alla stazione sciistica dell’Appennino, resa famosa da un altro grande velocista: il campione di scii Zeno Colò.

La moglie, raccontano le cronache di quei giorni, sembra si sia divertita un mondo mentre Mario, trovò nell’aria fine di questi monti, la giusta miscela per ritemprarsi dalle fatiche e per ben figurare a Monza.

Cosa che avvenne, non con la vittoria come lui avrebbe sperato, ma con il tempone fatto segnare nelle qualifiche del sabato, che gli valse la partenza al “palo”.

Mario Andretti su Ferrari 126 C2 a Monza

Tutto si decise negli ultimi venti minuti di prove di sabato 11 settembre, con una pista presa letteralmente d’assalto dai tifosi. Fu Tambay a far urlare i ferraristi fermando il cronometro a 1’28”830.

Durò poco. Piquet su Brabham passò sul traguardo ponendosi in cima alla classifica provvisoria dei tempi. Calò il gelo e il silenzio si impossessò delle tribune.

Ci pensò Andretti a riordinare la classifica con due giri “impiccati”: 1’28”508 fu il miglior responso della giornata. Fine dei giochi. L’autodromo esplose di una gioia incontenibile.

Domenica fu però un’altra storia, problemi all’acceleratore lo costrinsero ad una gara di conserva, ma comunque fu festa. Il popolo ferrarista fu tutto per lui, compreso un tifoso speciale: il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, in autodromo per incitare la Ferrari e gridare anche lui: “Forza Mario”.

Per la cronaca arrivò terzo, dietro Arnoux, annunciato come prossimo pilota del Cavallino, e Tambay suo compagno di squadra. Un podio comunque Ferrarista è fu come se avesse vinto.

Quella “pole”, quel sigillo, quella zampata finale, valsero più di una vittoria, e la folla lo dimostrò stingendosi intorno a lui e alla squadra per lasciarsi dietro le spalle un anno da incubo.

Una pole position storica da annali, da brividi della Formula 1 che ancor oggi si ricorda con trasporto: chiamato a disputare una-tantum una gara con la Ferrari, la mise davanti a tutti nella pista che, per caratteristiche e fama, può essere considerata di diritto l’Indianapolis d’Europa.

Solo un pilota con un piede pesante come “Piedone” poteva realizzare un’impresa simile.

Grazie per le emozioni che ci hai fatto vivere e auguri per i tuoi 80 anni.

Marco Ferrari
[marcoferrari@linealibera.info]

1 Luca Dal Monte, Ferrari Rex, Giorgio Nada, Vimodrone (Mi), 1986, p.1007

2 Settimanale Rombo n.36/82

3 Settimanale Rombo n.36/82

4 Autosprint Collection n.2, La Grande Favola di Mario Andretti

5 Termine coniato dalla cronista di Rombo Annalisa Bonaretti, Settimanale Rombo 36/82

6 Supplemento del settimanale Rombo 36/2

7 Autosprint Collection n.2, La Grande Favola di Mario Andretti

8 Autosprint Collection n.2, La Grande Favola di Mario Andretti

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