Un povero Cristo che non vuole scontrarsi ogni giorno (come invece poi è stato) con un Quartetto Cetra inarrestabile, invasivo più delle cavallette d’Egitto, cos’altro poteva fare se non chiedere di acquistare una striscia di terra e rendersi libero, indipendente e repubblicano?
FOTO 1. Leonardo da Cinci scuote la testa irsuta coi suoi capelli a tega e fa segno di no. Io non ho capito nulla, e lui si affretta a chiarire: «Così vuol dire cinquanta!». Ovviamente milioni
SE D’URGENZA TU N’HAI TANTA
DI MILIÓN NE VO’ CINQUANTA!
Vendere 600 metri di terra agricola per 50 milioni di lire sarebbe davvero un gran bell’affare. Ma ci vuole stomaco & faccia per chiedere quella cifra: specie nel 1996!
UN MIO COMPAGNO di liceo, il professor Roberto Fedi, ordinario di letteratura italiana a Salerno, all’Aquila e poi a Perugia (Uni Statale e Uni Stranieri), ha sempre sostenuto che le realtà rurali non sono affatto un ambiente idilliaco, ma un vero e proprio mondo di scontri al coltello, sopraffazioni, scorrettezze, ladrocini e quant’altro.
Con questo interessante racconto di una ben precisa vicenda tra confinanti su questioni di buon vicinato, credo che il discorso del Fedi dovrebbe essere chiaro a tutti i miei 25 lettori.
Dato ormai per acquisito che il Quartetto Cetra di Lecceto (Mara Alberti, Gionni Dainelli, Sergio Luciano Giuseppe Meoni, Margherita Ferri) aveva acquistato casa e terra su cui avevano iniziato a compiere i più osceni scempi di natura abusiva; dato che, dinanzi alle rimostranze del condomino-confinante, costoro rispondevano con la superbia delle pernacchie e del «facciamo quel cazzo che ci pare e non rompeteci», mentre qualcuno meno educato e più deciso dei proprietari di via Lecceto 10-12-14 avrebbe imbracciato, se non una doppietta, almeno un forcone con i raspi ben lucidi, e in pochi attimi avrebbe risolto il problema: come procuratore generale della proprietà decisi (1996) di cercare di aggirare l’ostacolo una volta per tutte, per togliere il disturbo a tutti e per rendere indipendente e non più intercluso il fondo di mia madre.
Così, in primavera, telefonai a Leonardo Bassetti (luccianese nato a Quarrata il 3 luglio 1934; residente in via Garibaldi 6 a Quarrata, ma anche con domicilio in Montorio, podere Seccaiola), confinante, sul lato Est, con il fondo intercluso di Bruna Lapini.
Se date un’occhiata, anche rapida, alla foto n. 1, vedrete che un’area celeste chiaro tocca l’area segnata in giallo delle proprietà Lapini. Poi noterete anche che c’è una specie segnatura, a forma di squadra, colorata di blu, che parte dalla strada verde (Via Comunale di Carraia) e termina, appunto, alle particelle gialle 556 e 436 Lapini. Tenete bene a mente.
Qual era il mio personale pensiero? Chiedere a Leonardo Bassetti, luccianese anche lui, conoscente dei miei e di mia madre, di vendermi/venderci 300 metri quadrati di terra agricola a bordo-podere (quindi senza rovinare niente e senza intaccare il valore di una futura eventuale vendita a corpo del bene); una striscia di terra larga più o meno tre metri e lunga un centinaio, con cui, toccando i terreni-Lapini, si potesse realizzare una strada bianca, larga tre metri, per raggiungere il fondo intercluso.
Un povero Cristo che non vuole scontrarsi ogni giorno (come invece poi è stato) con un Quartetto Cetra inarrestabile, invasivo più delle cavallette d’Egitto, cos’altro poteva fare se non chiedere di acquistare una striscia di terra e rendersi libero, indipendente e repubblicano?
Sembrava facile, come diceva l’omino della Bialetti. Ma trovandoci in una realtà agro-pastorale, il peggio doveva arrivare: ed ecco come arrivò.
Telefono, in primavera, a Leonardo Bassetti, l’uomo dai capelli a tega come uno spinoso (a Lucciano è il riccio) e gli chiedo un appuntamento. Era, più o meno, marzo 1996. E ottengo un incontro con lui nella sua abitazione di via Garibaldi 6 a Quarrata.
Mi presento con una persona e ci mettiamo a discutere del mio progetto. Rassicuro capelli a tega che, se mi farà questa cortesia – che non gli costa sostanzialmente niente, perché il suo podere (ex-proprietà Cecconi) non ne avrebbe risentito in alcun modo – non solo gli sarò grato, ma gli sopravvaluterò anche il prezzo della terra agricola: che in quel momento (1996) oscillava tra 7.000 e 7.500 £ al metro.
La terra di Leonardo Bassetti: 600 metri a 50 milioni di lire nel 1996. Un’offerta davvero generosa, da buon vicino…
Testa a tega chiacchiera un po’ e poi mi risponde che “lui non vuole spendere una lira, tutte le spese devono fare carico a me, devo pagare lo sparticellamento, il notaio e tutto il resto”. Inoltre “non si deve dichiarare a contratto la cifra pagata, ma un valore virtuale da decidere da parte sua”.
A me, sarò sincero, andava bene tutto: ero disposto a pagare anche di più e a essere anche grato a chi mi risolveva un problema non piccolo, quello del Quartetto Cetrarompicazzo.
Il Bassetti mi chiede qualche giorno per orientarsi meglio e rimaniamo d’accordo: ci risentiamo per telefono.
Passa qualche giorno e l’uomo dei capelli a tega mi chiama. Mi dice: «Mi sono occupato della cosa. E ho sentito il mio geometra, Vincenzino Serena» che io so bene chi è, anche perito del tribunale: persona rispettabilissima, scomparso poco tempo dopo.
«Che ti ha detto?», gli chiedo. E il Bassetti: «Che i piaceri ai vicini vanno fatti sempre, per cortesia e per rapporti di buon vicinato…». Io tiro un respiro di sollievo, perché penso che per il problema Quartetto la soluzione è più vicina. Poi, capelli a tega mi fa: «Però ho deciso di fare diversamente da quello che mi hai chiesto tu…». Gli dico di spiegarmi il suo punto di vista e lui conclude: «Non ti vendo 300 metri di terra. Te ne vendo 600: una striscia di sei metri che comprende, in fondo, anche l’ultimo mio campo terrazzato a confine con la terra di tua madre».
Niente da obiettare, anzi! Mi va anche meglio: più spazio, più comodo tutto. Si resta d’accordo che ci risentiamo e che devo preparare un preliminare di compravendita, che butto giù nel giro di un giorno e che potrete vedere cliccando qui.
Viene il giorno dell’incontro, nell’ aprile 1996, e io, sempre accompagnato dalla solita persona del primo abbocco, mi presento in via Garibaldi 6 a Quarrata.
Ho pensato – nel frattempo – e pensato e ripensato: il valore di 300 metri di terra a 7.500 £ al metro dà 2.250.000 £. Ve le ricordate le vecchie £? Se la terra è il doppio (i 600 metri che mi vuole dare capo di riccio) il valore raddoppia (4.500.000). Ma personalmente, per risolvere il mio problema una volta per tutte, fino a che punto sono disposto ad arrivare?
Se triplico 7.500 e pago 600 metri a 21.600 £/metro, andrò a spendere 12.960.000 £. Non sarebbe già un affare d’oro per il nostr’uomo? Per dire risolvo il problema e me ne fotto di tutto e di tutti, sono disposto (lui, testa di capelli a tega, lo sa) a quintuplicare il prezzo di mercato: 37.500 £ al metro quadro. Terra senza valore, in monte si dice sopra Montorio. Totale della spesa? Presto fatto: 37.500 per 600 metri, 22.500.000 £. Mi sono comportato male? Forse sì: perché mi sono comportato da perfetto imbecille. Ma per vivere in pace, cari miei, anche questo e altro!
Siamo rimasti all’atterraggio. Ci accomodiamo in salotto in via Garibaldi, e io tiro fuori il preliminare da me preparato. Lo appoggio sul tavolo e chiedo: «Allora, Bassetti? Che prezzo hai deciso? Quanto si scrive in compromesso?».
La borgatina di Cinci di Montorio, in via delle Molina
Un momento di silenzio, poi il signor Leonardo, più che da Vinci da Cinci (per chi non lo sa, a Montorio c’è una borgatina che si chiama appunto Cinci, come la fava), alza la mano destra, ma non dice lo giuro: mi mostra, invece, 5 dita bene allargate. Io, da vero pitocco, penso a 5 milioni, che sarebbe poco più del doppio del valore della terra. «Cinque milioni va bene!», esclamo.
Leonardo da Cinci scuote la testa irsuta coi suoi capelli a tega e fa segno di no. Io non ho capito nulla, e lui si affretta a chiarire: «Così vuol dire cinquanta!».
Due le reazioni possibili: o estrai una Colt e spari come al saloon di un western; oppure, siccome non hai i capelli a tega né tantomeno sei una testa-di-cazzo, ti limiti a una esclamazione in forma di domanda: «Ma… t’ha dato di balta il cervello?».
Risposta immediata e indicativa del cosiddetto buon confinante che intende intrattenere rapporti di buon vicinato: «Allora a casa tua tu ’un ci vai, perché il coltello dalla parte del manico ce l’ho io!». «E tièntelo bello stretto, il tu’ coltello – aggiungo e concludo –! Perché, con 50 milioni, io, a casa mia, ci arrivo in elicottero!». Fine dell’atto unico squallido da avvoltoio alla Mr. Scrooge ricattatore e strozzino.
Perché racconto questo? Perché mentre me ne vo sbattendo la porta, testa di riccio ha perfino il coraggio di urlarmi dietro: «Tanto lo sanno tutti che tu sei un letichino… che tu hai leticato con tutti…»: ma se tutti sono stronzi (tribunale compreso), cosa si deve fare per essere un cittadino perbene? Cedere a una estorsione di 50 milioni di lire per 600 metri di terra senza valore in monte?
Racconto questo episodio vomitevole, perché chi deve vergognarsi si vergogni di andare in giro con l’aria da persona perbene. E costui non cerchi di rifarsela a querele. Primo, perché con me non attacca; secondo, perché se mi trascina dinanzi a un giudice, non mi mancano altri documenti e carte ufficiali per dimostrare che lo squallore che ho qui rappresentato, non è che la nuda e cruda verità della bellezza idilliaca della campagna.
Seccaiola, cancello. Una delle strade interpoderali chiuse da Leonardo Bassetti lungo Via Carraia. Proprio dove stava la fontana dell’acquedotto pubblico
Capito, signor Leonardo da Cinci?
Bellissimo anno fu quel 1996! Un an no fortunatissimo. Il 23 dicembre, infatti, Paolo Cavalieri e i Baldi-Papini di Montorio vendettero la casa e le terre di via di Lecceto 1 al ragionier Romolo Perrozzi e alla moglie Antonia Compagnucci.
E se prima nessuno aveva mai avuto a che fare o a che dire con qualcuno o qualcosa, a forza di catene e stronzate varie, telecamere e consociazioni di rompipalle, èccoci qua a Lecceto – territorio sotto vincolo del gran Comune del Mazzanti – che sembriamo indirizzati fra i percorsi a filo spinato con alta tensione di Auschwitz – sempre col santo sigillo dell’ufficio tecnico comunale, però…
Se le procure e i tribunali invece di perdere tempo ascoltassero le segnalazioni che vengono loro inviate, quante notizie di vicini che sparano a loro vicini, potrebbero essere evitate?
E quante donne, oggetto di violenza, si salverebbero da un possibile (e a volte quasi certo) femminicidio?
E ora? Volete rinviarmi a giudizio solo per questa mia opinione?
Bella democrazia da Palamara, sì! E da Pd politicamente corretti.
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