
SI FA PRESTO A DIRE
RISPETTO DELLE ISTITUZIONI

PISTOIA. In questi giorni tutta la stampa locale si è rotta la schiena nel piegarsi per fare l’inchino alla dottoressa Emilia Zarrilli, prefetta che se ne va da Pistoia.
Noi siamo scorbutici, antistituzionali (perché in genere le istituzioni stanno lì per noi e vengono da noi profumatamente pagate, ma di noi se ne fregano altamente e, si direbbe, in maniera istituzionale), irriverenti perché, come dice Socrate in Platone, «non si deve più rispetto a un uomo che alla verità».
E la verità è che i prefetti – come già diceva Einaudi ai tempi dei tempi – sono sostanzialmente inutili (guardi la Lamorgese e capisci bene tutto); che costano senza praticamente rendere alcun servizio se non quello di fare rappresentanza (ma allora ci potrebbe essere più utile una cariatide dell’Eretteo dell’acropoli di Atene); che al giorno d’oggi non hanno più nemmeno la possibilità di tirare le orecchie a un segretario comunale, perché i segretari sono una razza a sé…
Qual è dunque la funzione dei prefetti? Rispondere a chi fa loro una domanda o fare annullare una contravvenzione? E per svolgere questo alto compito, quanti stipendi si pagano? E di che taglia? X, XL XXL, XXXLLL o cos’altro?
Di fatto provi a scrivere al prefetto e nessuno risponde – neanche se mandi una Pec. Perché non è più come un tempo, quando gente come Chiesi, Schirinzi, con i suoi occhialini, o Mannino suscitavano rispetto, se non addirittura reverenziale timore. Per i giornalisti d’oggi costoro prefettavano Pistoia negli anni 60-70.

Oggi scrivere al prefetto è come fare una telefonata al centralino di San Pietro – non quello di Roma, quello in paradiso. La linea è occupatamente muta.
Oltretutto, introdotti in Italia ai tempi di Napoleone, in «epoca fascista i prefetti furono uno degli strumenti di cui si avvalse Mussolini per la politica di centralizzazione e rafforzamento del potere esecutivo. Il ruolo del prefetto fu, quindi, ulteriormente rafforzato e il regime si servì di istituti quali il collocamento a riposo per ragioni di servizio o il collocamento a disposizione allo scopo di allontanare i prefetti sgraditi» (vedi qui).
Ora fate attenzione. Chi sono i più rispettosi delle istituzioni, e quindi anche dei prefetti, se non i politicamente corretti? E costoro in che mare si bagnano se non in quello democratico dove nuotano libere anche le sardine?
Che vuoi dire, mi direte? Quello che ho detto, ripeto. E basta. La forma è sostanza: alle nostre segnalazioni non abbiamo avuto ombra di risposta, poi fate come volete.
Per chiarezza assoluta e con tutto il massimo rispetto possibile, la dottoressa Zarrilli, dopo le ultime elezioni fece amabilmente notare ai sindaci che si erano presentati da lei senza fascia, che etichetta avrebbe voluto che loro fossero fasciati del tricolore come delle mortadelle.

Ora che la prefetta se ne va, con altrettanta amabile cortesia si faccia richiamare benevolmente all’ordine dei protocolli.
Se non siamo ancora ciechi, in questa foto “ufficiale” e di protocollo, la prefetta si presenta a un sindaco (Mazzanti) di Quarrata e a ufficiali e militi dell’Arma (gli altri non sappiamo chi siano) con scarpe (ma non tanto: sono calzature sportive, sembra) estive e dita dei piedi generosamente di fuori.
Se in spiaggia si deve andare in giacca e cravatta come faceva Aldo Moro per rispetto dei ruoli che ognuno rappresenta e recita, neppure un prefetto può presentarsi “a piedi nudi nel parco”… pardon! con le dita dei piedi all’aria per stringere la mano di un ufficiale dei CC.
I protocolli non possono essere proto-calli: non è vero democratici radical pistoiesi?
Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.info]
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2 thoughts on “[s]toccata & fuga. IL PREFETTO SE NE VA, MA ANCHE LA FORMA È SOSTANZA”
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